Promuovere una teologia della pace presso le istituzioni
Nel cuore storico e istituzionale dell’Unione Europea, a Lussemburgo, Francesco è tornato a parlare di pace. Ha affermato che solo alzando «lo sguardo verso l’alto», si può lasciare l’orrore della guerra alle spalle. Al contrario, come «smemorati», si rischia di ripercorrere strade già battute «rinnovando inutili stragi» (26 settembre 2024). Sulla stessa linea, rivolgendosi al corpo diplomatico presso la sede apostolica, il Santo Padre aveva invitato a «guardare […] negli occhi» le vittime delle guerre moderne, quelle in Ucraina e a Gaza, per scorgere nei conflitti armati l’«inutile strage» — espressione da lui ripresa anche a settembre (8 gennaio 2024). Il tema richiama il drammatico appello di agosto 1917, contenuto nel messaggio di Benedetto XV .
L’attuale Pontefice non lancia una breaking news sulla guerra, ma propone una teologia dei gesti quotidiani per una pedagogia della pace. Si richiama agli occhi. Rivolti «verso l’alto» o verso l’altro, stabiliscono una sequenza visiva e una percezione integrale dell’«inutile strage». In questa mappa di sguardi tracciata da Francesco, all’incrocio delle due visuali, nel loro completarsi, si apre una nuova prospettiva trascendente e trasformativa. Gli occhi delle vittime si tingono di un tono celeste più profondo, mentre l’altitudine diventa intima mostrando il luogo dove abitano i propri fratelli, in un punto di ascesa oltre il quale la guerra, sotto il cielo e accanto agli uomini, appare inservibile.
Già nel 2017, il Santo Padre aveva intrecciato il tema del 1917 con una nozione bifocale dello sguardo pacifico, anticipando una connessione ricorrente nelle successive esortazioni. Ciò che «ci fa guardare il Cielo» mentre «guardiamo» i «nostri fratelli» caduti in guerra — due contemplazioni evocate in successione durante un’omelia pronunciata presso il cimitero americano di Nettuno — lo portò a recitare la supplica: «Non più questa strage inutile» (2 novembre 2017). Ne emerge che l’elevazione sofferente degli occhi, complementare all’atto introspettivo di chi china il capo sulla tomba, nella loro verticalità, si allinea allo scoccare del «giorno» funebre che Francesco definì «giorno di lacrime», utilizzando un lessico di natura oftalmica.
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