Osare la pace
«Noi osiamo sperare», «osiamo rivolgere [...] la nostra voce, umile e forte», «noi osiamo dire», così Paolo vi ribadiva nelle prime Giornate mondiali della pace. Nell’ultimo messaggio di questa serie, rivolto «al mondo, all’Umanità», ripeteva: «noi osiamo» pronunciare una «parola mite e solenne», di cui «avvertiamo la trascendenza profetica».
A sei mesi dalla crisi dei missili a Cuba, venne promulgata l’enciclica Pacem in terris. Nel 1967, se ne riprendevano i fili, che oggi, di nuovo a un passo da una guerra nucleare, il Santo Padre torna a tessere in occasione del Giubileo della speranza. «Oso [...] rilanciare un altro appello» — si legge nel messaggio per il 2025, un’esortazione al «disarmo del cuore», richiamando le parole di Paolo vi che già nel 1975 invitava a «disarmare gli spiriti».
Poiché né la violenza né la disperazione conoscono barriere religiose, si volle interpellare non solo i cristiani, ma ogni persona nella quotidianità. Per questa ragione, la Giornata mondiale della pace non ricorre nel calendario liturgico, ma si celebra a gennaio, ovvero — citando Papa Montini — all’alba dell’anno nascente, al «primo sole» che irradia sull’anno civile (1968-1969).
Nell’arco di quattro pontificati, si sono susseguiti 58 messaggi a difesa del valore della vita e dei diritti umani. Si dichiarano fallite le politiche della pace fondate sull’equilibrio tra forze contrapposte e su un certo «equilibrismo diplomatico» (1973). Si smascherano le contraffazioni che surrogano la pace con semplici tregue, mantenendo un equilibrio del terrore» (1981), descritto come «quanto mai instabile, sospeso sull’orlo del baratro nucleare» (2020). Persino nei bilanci di guerra è ancora consuetudine calcolare le perdite per far quadrare i conti. Meno evidente, ma ancor più antica di queste prassi di bilanciamento, è la scomparsa radicale del «senso dell’uomo» (1969). È la sua svalutazione, il suo autolesionismo; è l’inumanità la questione principale, non i contrappesi che si illudono di riportare l’ago al centro.
In queste giornate di riflessione, la pace è stata definita lo «specchio dell’umanità» (1971): un’immagine che, distorta dai conflitti, si deforma in una «concezione errata dell’uomo», rendendo la sua «vera natura» irriconoscibile. La guerra è la «prima menzogna», la «falsità fondamentale» che va «contro la verità [...] della nostra umanità» (1980); rappresenta il «test della nostra umanità» (1985), una prova che rimane tutta da «dimostrare» (1987). Quando scelta, la violenza si rivela «disumana» (1993), facendo perdere all’uomo le proprie sembianze e trasformandolo in qualcosa di bestiale. Di questa deriva è simbolo l’accezione licantropa dello stato naturale, espressa nell’antropologia del homo homini lupus, da cui la «civiltà deve [...] redimersi» (1973-1974; 1978).
Articolo originale su osservatoreromano.va