Ognuno ha una croce da portare per arrivare alla Resurrezione, queste le parole di Papa Francesco
Domenica 17 marzo Papa Francesco, durante l'Angelus, ha ricordato a tutti noi fedeli l'importanza della Resurrezione e la necessità di perseverare su un cammino di sofferenza proprio per poterla raggiungere. Nella seconda domenica di Quaresima, infatti, le Sue dure parole sono state incentrate sulla forza di sopportare ciò che la quotidianità ci impone, perché "nessuno arriva alla vita eterna se non seguendo Gesù, portando la propria croce nella vita terrena".
Ognuno è costantemente chiamato a soffrire, ad affrontare prove e difficoltà, ma dobbiamo tenere a mente che si tratta di "passaggi necessari ma transitori" che servono a guidarci verso la via d'uscita, per usare le parole di Francesco verso il "volto luminoso di Cristo" nella Sua Trasfigurazione nella Pasqua1.
Fu lo stesso Isaia a profetizzare come "si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere" perché "il Creatore del mondo [...] per la Sua misericordia [gli] restituirà di nuovo lo spirito e la vita. Sarà in questa verità che troverà consolazione anche Giobbe, quando si ripeterà "lo so che il mio Vendicatore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Senza la mia carne, vedrò Dio".
Nel Vangelo, infatti, dopo aver condotto Pietro, Giacomo e Giovanni "in disparte, su un alto monte" mostrò loro il Suo volto trasfigurato tanto da non essere più somigliante a un volto umano. Fu soltanto dopo un iniziale stupore che Pietro riuscì ad esprimere il momento di Grazia che stava vivendo augurandosi che potesse durare in eterno. Nessuno, fino ad allora, era pronto ad accettare la Pasqua di sofferenza, morte e resurrezione.
Ma la gloria della resurrezione non può che passare attraverso lo scandalo della passione e della morte sulla croce, la via di sofferenza scelta dal Padre per concedere l'eternità al Figlio, e così noi umani siamo chiamati a ripercorrere le Sue orme caricandoci le nostre personali croci sulle spalle, simbolo e mezzo di pace attraverso il dolore.
Francesco, sempre durante l'Angelus, ha voluto focalizzarsi sulla transitorietà di questo supplizio, che non deve essere fine a se stesso per tramutarsi in una sorta di "sadomasochismo" ma deve rimanere un "passaggio necessario" per raggiungere la luce del "volto di Cristo trasfigurato" portatore di salvezza, beatitudine, luce e infinito amore. Lo stesso Papa, poi, ha ricordato a tutti noi come sia attraverso la preghiera che silenziosamente possiamo ascendere al monte e, nel cuore, continuare il nostro dialogo interiore con Gesù. Fissando il Suo sguardo nel nostro cuore, otteniamo la luce che irradia le nostre azioni e il mondo intero guidandoci ad allietare le nostre sofferenze1.
Perché "quelli che si amano, cercano di vedersi. Gli innamorati hanno occhi soltanto per il loro amore. Non è naturale che sia così? Il cuore umano avverte questi imperativi. Mentirei se negassi che mi punge un grande desiderio di contemplare il volto di Gesù Cristo. Vultuum Tuum, Domine, requiram; cercherò, Signore, il Tuo volto". Un desiderio, questo, che verrà esaudito nel momento in cui manteniamo ben salda la nostra fede, in quanto la sollecitudine di Dio nei confronti delle Sue creature ha predisposto la "resurrezione della carne".
Dopo le sofferenze, quindi, risorgeremo nello stesso corpo che abbiamo avuto durante la vita terrena, nella stessa carne "in cui viviamo, sussistiamo e ci muoviamo". Perché "in Cristo Tuo Figlio, nostro Salvatore, rifulge a noi la speranza della beata risurrezione, e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell'immortalità futura. Ai Tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un'abitazione eterna nel cielo".
Coloro i quali saranno resuscitati nella Gloria, come ci comunica Giovanni nell'Apocalisse, "non avranno più fame, non avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta". Queste sofferenze, che oppressero il cammino del popolo lungo il deserto e che si ripropongono a noi sotto forma di ostacoli quotidiani, avranno fine soltanto con la Patria definitiva.
La fede e la speranza che la nostra carne verrà glorificata ci porterà a nutrire verso essa un dovuto rispetto, per questo "non è lecito dunque disprezzare la vita corporale dell'uomo. Al contrario, questi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla Resurrezione dell'ultimo giorno". Ciononostante, il segreto sta nel non dimenticare mai come più in alto della salute risiede l'accettazione amorosa della volontà di Dio sulla nostra vita, e per questo motivo non ci è consentito soffermarci troppo a lungo sull'importanza del benessere fisico.
In nessun momento, infatti, dobbiamo perdere il focus di dove siamo diretti e di cosa rappresentano le cose terrene che ci circondano e ci preoccupano. La nostra meta è sempre il cielo, perché Dio ci ha creati, anima e corpo, per stare accanto a Suo Figlio. Ed è per questo motivo che, qui sulla Terra, "l'ultima parola non potrà che essere un sorriso... un canto di gioia.