La carità è pazienza
La carità è pazienza, esercizio di moderazione e sopportazione.
Santa Tersa d’Avila ci ricorda, ancora oggi che «con la pazienza si ottiene tutto», laddove la capacità di sopportare le difficoltà e i piccoli e grandi dolori non solo ci rede più forti ma pure ci pone in condizione di imitare l’esempio del Cristo e di Dio padre che ci accoglie sempre a braccia aperte e ci sostiene, ove vogliamo accostarci a lui con cuore puro, o purificato dalla misericordia della riconciliazione.
Lo stesso Paolo di Tarso loda in più occasioni la pazienza intesa quale frutto dello Spirito, nella Lettera ai Galati, quando afferma:
Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (CEI 74[1] - Galati, 5.22).
O ancora, quando auspica che essa debba caratterizzare ogni credente nella Prima Lettera ai Tessalonicesi:
14. D’altra parte, fratelli, vi esortiamo ad ammonire i disordinati, a confortare chi è depresso, a sostenere i deboli, a essere pazienti con tutti. 15 Badate che nessuno renda male per male a qualcun altro; anzi cercate sempre il bene gli uni degli altri e di tutti (1 Tessalonicesi, 5.14-1).
In un mondo iperconesso dove le informazioni viaggiano velocissime, cosa vuol dire esercitare la carità come pazienza? Cosa vuol dire imparare a saper attendere e a sopportare, mantenendo la calma?
La risposta non va cercata solamente nel beneficio psicologico personale che qualsiasi life coach sventola davanti agli occhi di una umanità stressata, spesso frustrata, e soprattutto intollerante.
La risposta è molto semplice: anche l’esercizio della pazienza nelle nostre relazioni con l’altro e con il mondo che ci circonda nella sua totalità, è una forma di amore nei loro confronti e di imitatio christi. Così, infatti l’autore della Lettera agi ebrei ammonisce i suoi lettori:
Fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio (Ebrei 12.2).
Solo l’amore ci può dare la forza per resistere alla tentazione di rispondere ai torti (presunti o reali) con l’ira, e coltivare la pazienza. Naturalmente, al di là di una disposizione d’animo e di volontà, è necessaria a grazia divina per poter essere sinceramente pazienti e ciascuna prova che si affronta la mette nuovamente in discussione. La fede e la speranza sostengono allora l’uomo e gli consentono di essere paziente.
In questa accezione la carità diviene strumento di vero amore e di sacrificio di sé, rendendoci degni dell’amore e del sacrificio divino e, in altre parole, dando pienezza alla nostra humanitas, come ricorda San Giacomo nella prima Lettera agli ebrei in esilio:
Fratelli, considerate perfetta letizia, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza e la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti ed integri, senza mancare di nulla (Gc 1, 2-4).
In questo significato, la pazienza diviene strumento di gioia e indice di saggezza, come ricordava papa Francesco, nell’omelia della messa del 17 febbraio 2014 celebrata a santa Marta, commentando proprio questo passo.
Che il Signore ci dia a tutti noi la pazienza, la pazienza gioiosa, la pazienza del lavoro, della pace, ci dia la pazienza di Dio, quella che Lui ha, e ci dia la pazienza del nostro popolo fedele, che è tanto esemplare.
[1] Nell’’edizione CEI 2008 alla parola pazienza si sostituisce “benevolenza” ma, poiché nella prima Lettera di San Paolo ai Corinzi troviamo entrambi i termini, si è scelto di mantenere la vecchia traduzione, per poter poi analizzare in altra sede come la carità possa declinarsi, nello specifico, quale benevolenza.