Festa di San Nicola di Bari.
Oggi ricorre la festa di San Nicola di Bari.
Riportiamo quando scrive Gerardo Cioffari:
“Santo fra i più celebri della cristianità, Nicola nacque intorno al 260 a Pàtara in Asia Minore (odierna Turchia Meridionale). Della sua famiglia e della sua infanzia nulla ci è pervenuto, se non un episodio edificante (il mercoledì e il venerdì succhiava il latte materno una sola volta nella giornata), riflesso delle origini monastiche bizantine dell’antico biografo, Michele Archimandrita (VIII secolo). Intorno all’anno 300 il popolo di Mira lo elesse suo vescovo, sull’esempio di quanto accade poi per i santi Severo, Ambrogio e altri. Tutto quanto viene detto poi della sua infanzia non si riferisce a lui, ma un omonimo monaco vissuto duecento anni dopo nella stessa regione (Nicola Archimandrita di Sion e vescovo di Pinara).
Molto probabilmente l’elezione episcopale a furor di popolo (nella biografia però è la voce di Dio che un vescovo ascolta in sogno) fu causata dalla sua fama di santo della carità. Il già citato Michele Archimandrita, infatti, fra le sue azioni ricorda l’intervento a favore di tre fanciulle. Figlio di genitori facoltosi, Nicola era venuto a sapere da un vicino che in una casa, a pochi isolati dalla sua, viveva, con le sue tre figlie povere, un nobile decaduto. La cosa però che lo scosse maggiormente fu il rimedio che il padre voleva adottare per superare le difficoltà finanziarie, quella di fare prostituire le figlie. A evitare che il padre infelice mettesse in atto quello sciagurato disegno, Nicola avvolse delle monete d’oro in un panno e nottetempo si recò sotto la finestra di quella casa, lasciandolo scivolare il sacchetto all’interno. Si può ben immaginare la sorpresa del padre, nonché la grande gioia per la possibilità che gli si presentava di maritare onorevolmente la prima figlia. Qualche tempo dopo Nicola ripetè il gesto, e il padre potè fare convolare a giuste nozze anche la seconda figlia. Si ripromise però di voler conoscere il provvidenziale donatore e cominciò a dormire cercando di cogliere ogni minimo rumore. Quando per la terza volta udì il tintinnio del sacchetto di monete che cadeva a terra, corse alla porta e dopo un breve inseguimento raggiunse Nicola. Lo riconobbe, ma Nicola gli fece promettere di non dire alcunchè.
Fu in questi atti di carità che l’Oriente (agiografia bizantina e letteratura popolare russa) e l’Occidente (con a capo Dante e San Tommaso) videro la vera identità del santo. Nel mondo ecclesiastico, e quindi nella liturgia, si è voluto mettere in rilievo anche il suo zelo per l’ortodossia della fede. Così, non solo si parlava della sua partecipazione al concilio di Nicea (325 d.C.), ma si aggiungevano leggende, come ad esempio lo schiaffo all’eretico Ario che negava la divinità di Cristo. In realtà, oltre la sua partecipazione al concilio, trovandosi il suo nome nella lista di Teodoro il Lettore, del 515 ca., ritenuta autentica dal maggiore esperto di Concilii antichi, Edward Schwartz, nulla si può dire del suo atteggiamento in quel concilio. Tanto più che nessuno scrittore del IV secolo lo nomina, e l’encomio del patriarca Proclo (390-446) è di dubbia autenticità. Dovrebbe essere morto, perciò, non più tardi del 335. Andrea di Creta, verso l’anno 700, ricordava che Nicola convertì il vescovo Teognide, il che è possibile. Ma è probabile che nel consesso niceno Nicola fosse fra moderati. Un po' come Eusebio di Cesarea o, più tardi, Sant’Ilario. Avversario di Ario, quindi, ma non in linea con San Atanasio, almeno a giudicare dal fatto che Atanasio non lo menzionò mai e che forse si trovava in una opposta collocazione politica. Il più antico biografo del santo (IV-V secolo) scrisse una Vita di cui ci è pervenuto un solo episodio; citato anche da altri (Eustrasio di Costantinopoli) è forse il fatto più storicamente accertato. Narra che tre ufficiali di Costantino, nell’ambito di una operazione per sedare una ribellione di mercenari taifali, scesero con le loro navi costeggiando l’Asia Minore. Attraccarono ad Antriake (porto di Mira) e concessero alcune ore di libertà ai soldati. Un gruppo di essi raggiunse Mira, a circa tre chilometri all’interno, e provocò dei disordini. Di questi furono accusati tre cittadini innocenti, i quali furono trascinati sul luogo dell’esecuzione. Alcuni accorsero dal vescovo Nicola, che nel frattempo aveva ricevuto i tre ufficiali, e gli riferirono ciò che stava accadendo. Lasciando tutto, Nicola si avviò speditamente dove gli avevano detto che si trovavano i soldati con i condannati. Non li trovò. Si informò nuovamente, e dopo qualche tentativo, giunse finalmente sul luogo proprio mentre il boia si preparava a decapitare i malcapitati. Dopo aver bloccato il boia, e liberati i prigionieri, si condusse al palazzo del governatore Eustazio e lo rimproverò aspramente per aver approfittato della situazione e perché, in cambio di denaro, aveva condannato tre innocenti.
Quando gli ufficiali Nepoziano, Urso(ne) ed Erpilio(ne) rientrarono a Costantinopoli furono accolti trionfalmente. Alla gloria, però, ben presto seguì l’umiliazione. Ablavio, prefetto del pretorio, appoggiò l’accusa di aver tramato ai danni dell’impero, spingendo Costantino a condannarli a morte. La sera precedente all’esecuzione, nel carcere Nepoziano pregò il Signore affinchè, come Nicola aveva salvato i tre innocenti a Mira, salvasse anche loro per la sua intercessione. Nicola allora apparve minaccioso in sogno prima all’imperatore poi al prefetto. Quando si svegliarono questi pensarono ad arti magiche, ma il racconto di Nepoziano convinse del miracolo l’imperatore, che li liberò, inviandoli persino a consegnare dei doni al santo vescovo di Mira.
Non essendo né scrittore né martire né monaco, Nicola non attirò l’attenzione dei contemporanei, ma la diffusione del nome “Nicola” nel V secolo e le testimonianze del VI secolo, rivelano che il suo culto da Mira si stava irradiando in tutto l’impero. Grazie al Passionario Romano del 640 circa, Nicola entrava decisamente anche in Occidente. Rabano Mauro già nell’818 parla di una sua reliquia a Fulda (Germania). Intanto, un archimandrita bizantino di nome Michele scriveva la prima biografia che ci sia pervenuta e che, data la mancanza di riferimenti all’iconoclasmo, potrebbe essere datata al 720 circa. Su di essa ne elaborava una il patriarca di Costantinopoli Metodio (morto nell’847), al quale si rifece Giovanni diacono di Napoli (880 circa), dal quale dipendono tutte le vite latine.
Oltre ai già narrati, una certa notorietà ebbero anche episodi come il tributo, con Nicola che ne ottenne la riduzione per i miresi suoi concittadini, oppure le navi granarie in tempo di carestia, di cui convinse i capitani delle navi a scaricarne parte nella città di Mira, oppure la distruzione del tempio di Artemide. Tutti episodi più che realistici, a testimonianza della concreta carità del vescovo verso il suo gregge, ma che gli angiografi vollero abbellire con conclusioni miracolistiche (la concessione imperiale di riduzione del tributo arrivava per mare in giornata da Costantinopoli a Mira, il peso del grano all’arrivo a Costantinopoli risultava lo stesso della partenza da Alessandria, nonostante la consegna a Nicola, e così via). Intorno all’anno 900, San Nicola divenne il santo più venerato in Oriente e in Occidente. Inoltre, da protettore dei carcerati e condannati a morte, nonché delle fanciulle da marito, per i tanti miracoli che andarono ad aggiungersi alle Vite, divenne anche il protettore dei marinai. E quando qualcuno cominciò a scrivere che aveva salvato tre bambini (invece di tre innocenti) nacque anche il suo patronato sui bambini con le relative leggende che sfoceranno nella gioiosa figura di Santa Claus o Babbo Natale.
Intanto, nell’XI secolo, il destino di San Nicola venne ad incrociarsi con quello di una città della puglia, Bari, la quale, conquistata dai normanni (1071) era caduta in una crisi politica (perdendo il ruolo di capitale bizantina dell’Italia) e commerciale. La città pugliese risolse almeno la seconda, grazie all’intraprendenza di sessantadue marinai in missione commerciale ad Antiochia di Siria. Rinviato un primo tentativo per la presenza dei saraceni, nel secondo, sulla via del ritorno, irruppero nella Chiesa di Mira e si impadronirono delle reliquie del santo, giungendo a Bari la domenica 9 maggio 1087. Tutta l’Europa venne a conoscenza dell’evento, che gode tra l’altro di una massiccia documentazione (archivio della basilica di San Nicola di Bari). Dopo un violento contrasto, il popolo barese ottenne dall’Arcivescovo Ursone che l’antica residenza del catepano (governatore bizantino dell’Italia meridionale) fosse ristrutturata, e da palazzo civile divenisse una basilica.
L’ecumenicità del santo fece si che non solo dai paesi di tradizione latina (come Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera, Belgio, Spagna) ma anche da quelli slavi (come Russia, Serbia, Croazia, Polonia) giungessero pellegrini, a testimonianza di un culto più forte della stessa divisione delle Chiese in cattolica e ortodossa. Il pellegrinaggio russo ortodosso a Bari è divenuto oggi quotidiano. La Sala del Tesoro (preziosi soprattutto i doni normanni e angioini), è una testimonianza di questa universalità di devozione.