Empori della solidarietà come contrasto alle nuove povertà
In questa rubrica, Don Pino Esposito Charitas, come sapete affronto argomenti che toccano ognuno di noi, il nostro modo di essere Cristiani e di valutare le priorità della vita. Intorno a noi c'è tanta povertà e non possiamo chiudere gli occhi e rimanere immobili.
Anche in Italia, come nel resto del mondo, la povertà è in aumento. Come evidenziato nel “Rapporto 2016 su povertà ed esclusione sociale” pubblicato dalla Caritas, ci sono nella nostra Nazione 1 milione e 582 mila famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta, ossia quasi 4 milioni e mezzo di persone. Questo sembra inconcepibile se pensiamo che nel mondo si sprecano ogni anno 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, 1 terzo di tutto quello prodotto, solo in Italia 8,1 milioni di tonnellate vanno nell’immondizia, possiamo, quindi, affermare che la povertà sia proporzionale agli sprechi. Tutto questo non è più tollerabile e da più parti si cerca di porvi rimedio. Innanzitutto promuovendo una cultura del non-spreco, prendendo spunto da quanto si è fatto in altri Stati, a Stoccolma, ad esempio, nei Supermarket, la frutta matura, come le banane, viene offerta gratuitamente ai bambini, a Londra nel “People’s Supermarket” i cibi e le verdure prossime alla scadenza, ma buonissimi, vengono utilizzati nelle cucine del Supermercato per produrre pietanze, a chilometro zero, a prezzi accessibili e l’invenduto viene dato in beneficienza. In Danimarca una donna, Selina Juul, emigrata dalla Russia post-comunista dove mancava spesso l’indispensabile, rimase sconvolta dal vedere quanti cibi finivano nella spazzatura e creò, nel 2008, l’associazione “Stop Food Waste” dedicandosi ad una attività di divulgazione anche nelle scuole, scrivendo libri, ed inoltre, ritirando e distribuendo gli alimenti. Secondo lei il non-spreco è una questione di rispetto: “Verso la natura, la società, i produttori che lo hanno preparato, gli animali. E verso noi stessi, che buttando via il cibo perdiamo tempo e denaro.” Ma io aggiungerei che, prima di tutto, è una forma di rispetto verso chi non si può permettere di comprare il cibo. In Italia con la legge 155/2003 (ribattezzata del buon samaritano) è diventato più facile raccogliere e ridistribuire le eccedenze. Numerose sono le iniziative sorte. Ci chiediamo, ad esempio, che fine hanno i cibi cotti nei ristoranti e non consumati? Secondo un’inchiesta vengono gettati nella spazzatura. A questo ha cercato di porre rimedio, a Milano, il “Ristorante solidale” che ritira il cibo pronto da 10 locali milanesi convenzionati per consegnarlo a comunità di accoglienza. A Roma “Equoevento” recupera gli avanzi di feste e cerimonie. “Recup” raccoglie e distribuisce i prodotti invenduti nei mercati di Milano, a Genova “Pasto Buono” raccoglie il cibo nei ristoranti e supermercati e lo dona a chi ne ha bisogno. Fin dal 1989 l’associazione “Banco alimentare” ritira alimenti prossimi alla scadenza e le eccedenze per distribuirli a famiglie ed associazioni. Da queste esperienze, negli ultimi anni, sono nati gli “empori della solidarietà” un modo nuovo e concreto per contrastare le nuove povertà. Tante famiglie in più di lavoratori non riescono con i loro guadagni a sopperire alle esigenze della terza o della quarta settimana del mese e per i tanti disoccupati non c’è altra soluzione che la solidarietà. La Caritas si è fatta promotrice di una iniziativa diversa ed alternativa alla usuale offerta di pacchi. Sono nati (i primi furono a Roma ed a Prato, nel 2008) gli empori della solidarietà, veri e propri supermercati, più o meno grandi, dove si può entrare e fare la spesa scegliendo liberamente tra i prodotti ed alla cassa si paga con una tessera corrispondente a quanto acquistato. Per ottenere la tessera occorre ricevere l’autorizzazione di una Commissione di vigilanza alla quale il richiedente deve portare la documentazione relativa alla propria situazione economica: l’ISEE, il certificato di disoccupazione o la busta paga, lo stato di famiglia, l’eventuale presenza nel nucleo familiare di disabili o anziani a carico. Sono attivi anche dei centri di ascolto che assegnano i punti caso per caso (si parte da 35 punti, +10 punti per ogni persona ed altri aggiuntivi per i disabili e gli anziani a carico). La tessera ha una validità da 2 a 6 mesi, proprio perché non vuole essere solo una forma di aiuto, ma vuole spingere gli individui ad un percorso di rinascita, sono previsti, infatti, percorsi di riqualificazione professionale o reinserimento sul mercato del lavoro. Ovviamente se la situazione di disagio persiste la tessera può essere rinnovata. Questi empori danno modo agli utenti di salvaguardare la propria dignità perché ognuno può prendere ciò di cui ha veramente bisogno e si educano anche le persone a scegliere bene perché ogni oggetto ha un valore punti nell’ambito di quelli da utilizzare ogni mese.
L’iniziativa degli empori è partita dalla Caritas, che è la principale artefice del progetto, ma a lei si sono affiancate tante Onlus ed anche Enti locali. I costi vengono coperti dai fondi dell’8/1000, da donazioni, dalle raccolte nei supermercati o nei negozi di soggetti privati recuperando tonnellate di merci destinate al macero, il personale poi è formato da volontari; a Modena chi acquista gratis può ripagare la spesa con ore di volontariato. Il numero di questi empori sta aumentando moltissimo, la prima regione per numero di questi market è l’Emilia Romagna, seguita dall’Umbria e dalla Toscana. A Bologna si sono ispirati ai negozi “Zanardi” istituiti nel 1914 dal primo sindaco socialista della città per sostenere la popolazione stremata dalla guerra. È triste pensare che, dopo più di cento anni sia ancora necessario sostenere tante persone (e gli italiani sono in aumento) che non riescono a farlo autonomamente, certo nell’attuale situazione è necessario senza dimenticare, però, quanto afferma Papa Francesco: “Solidarietà significa anche lottare contro le cause strutturali della povertà e della diseguaglianze, della mancanza di lavoro e della negazione dei diritti sociali e lavorativi” in modo che ci siano sempre meno poveri.