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La preziosità del dolore: il grido di Gesù “Dio mio perché mi hai abbandonato”

Il tempo in cui viviamo è intriso di sofferenza, come ci ricorda Papa Francesco: “La maggior parte degli uomini del nostro tempo vive una quotidiana precarietà con conseguenze funeste. Il timore e la disperazione si impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei cosiddetti paesi ricchi. La gioia di vivere si spegne, crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l’impunità diventa sempre più evidente. Le guerre combattute in tante zone del mondo, il terrorismo, le violenze familiari, il dolore innocente” ci interpellano e spesso ci pongono domande che restano senza risposta. È lo stesso Papa a indirizzarci al Crocifisso: “Bisogna - dice - volgere lo sguardo al Crocifisso. È il simbolo più bello dell’amore di Dio, è il compendio di tutta la storia della salvezza: la più alta espressione dell’amore, di quanto Dio ci abbia amato, ha consegnato alla morte il suo Figlio per noi, Gesù, pur essendo di natura divina, non serbò con gelosia il tesoro della sua uguaglianza con Dio, ma umiliò se stesso, fino a morire in croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome sopra ogni nome.”

In questa settimana Santa celebreremo il doloroso cammino di Gesù, la “via crucis” contemplando attoniti il suo grido dalla croce: “Helì, Helì, Lamà Sabacthani (Dio mio, dio mio, perché mi hai abbandonato?)”. Tutti i Santi hanno seguito Gesù camminando con lui sulla via della passione, comprendendo come, attraverso il dolore, si giunga alla via della luce. La tradizione cristiana si è soffermata particolarmente sulle 5 piaghe di Gesù, ma sempre più spesso viene proposto alla meditazione il momento di massimo dolore per Gesù, il dolore che univa alle sofferenze fisiche quelle morali derivanti dal sentirsi distante dal Padre. In quel momento, gridando “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” la solidarietà di Gesù con l’umanità si è fatta così radicale da penetrare, condividere e assumere ogni negativo fino alla morte, frutto del peccato.

San Giovanni della Croce osservava: “nel momento della morte Gesù era annichilito anche nell’anima senza alcun sollievo e conforto, in un’intima aridità, così grande che fu costretto a gridare… Quello fu l’abbandono più grande che avesse sperimentato nei sensi durante tutta la sua vita. Aveva dato tutto, gli rimaneva la divinità, la sua unione con il Padre, il sentimento della presenza di Dio e, in quel momento, perse anche quello, svuotandosi di quella divinità. Si è fatto peccato per noi, ha percorso la strada di ogni sofferenza umana, di ogni esperienza negativa.”

Chiara Lubich, che aveva fatto di Gesù abbandonato, come lei definiva quel momento del grido, il suo ideale di vita, scriveva: “Il volto di Cristo crocifisso e abbandonato in croce è la sintesi di tutte le prove. Infatti ogni dolore fisico, morale o spirituale non sono che un’ombra del suo immenso dolore. Gesù, che grida il suo abbandono in croce, è la figura di chi è perplesso, dubbioso, di chiunque chiede: “perché?”. É la figura del muto: non sa più parlare. C’è un forte grido sulla croce. È in un certo modo la figura del cieco: non vede; del sordo: non sente. È lo stanco che si lamenta. È l’affamato di unione con Dio. È figura dell’illuso, del pauroso, del disorientato; appare fallito. Gesù abbandonato è l’immagine delle tenebre, della malinconia, del contrasto, figura di tutto ciò che è indefinibile, che è strano, perché è un Dio che grida aiuto, è il non senso. Gesù abbandonato è il solo, il derelitto… appare inutile, scartato.”

È per questo che anche noi possiamo trovare un senso ad ogni nostro dolore riconoscendoci nel volto di Gesù abbandonato, possiamo abbracciarlo ed accoglierlo, senza ribellarci, perché in questo caso il dolore ci schiaccia ma possiamo aggrapparci alla Croce che ci può sostenere. Ancora Papa Francesco ci invita a riconoscere il valore del nostro soffrire quotidiano: “sia esso un ammaestramento a non sfuggire ad esso con pretesti opportunistici o inutili mistificazioni, uno stimolo a farne, invece, dono a colui che ci ha amati (cf Rm 8,37)” nella certezza che così si costruisce una nuova cultura dell’amore e si collabora all’azione divina della salvezza. Maria, che, insieme alle donne, ha seguito Gesù sulla via della Croce, ci sia modello in questo dono di noi stessi: ci aiuti a a capire il valore della nostra sofferenza e ad offrirla al Padre in unione con quella di Cristo.

Anche la nostra esperienza ci insegna che è proprio così, quando ci affidiamo a Cristo e lo riconosciamo nel nostro dolore, questo diventa più sopportabile. L’offerta delle nostre pene diventa compartecipazione delle sofferenze di Gesù per i nostri peccati e da questo nasce la gioia perché il suo Amore per noi è lì presente e noi sperimentiamo la sua Misericordia e Gesù ci prende per mano, ci sostiene, ci solleva, ci consola. Madre Teresa in una preghiera recitava: “Signore, sempre ti trovo nella sofferenza, nella terribile grande sofferenza degli altri. Sempre ti trovo nelle sublime accettazione e nell’inspiegabile gioia di coloro la cui vita è tormentata dal dolore”. Se riusciamo, come Gesù, pur nel nostro Grido, ad abbandonarci totalmente al Padre, possiamo sperimentare che il dolore è un passaggio, che dalla Croce nasce la Resurrezione, dove si sperimenta la Pace, la Gioia, la Pienezza di vita, l’unità con gli altri.

La forza positiva della Fede si osserva anche nelle esperienze più tremende: penso a quanti nei campi nazisti hanno perso la fede e quanti, invece, si sono fatti santi. Conosco un operatore sanitario che ha perso la fede per il suo lavoro in un reparto pediatrico oncologico e conosco, invece, un papà ed una mamma che hanno affidato la loro bambina di otto mesi, affetta da un gravissimo carcinoma, alle preghiere di tutta una comunità per accompagnarla e sostenerla durante le cure dolorose che ha dovuto affrontare. In questi giorni la bimba ha compiuto tre anni, tra lo stupore dei medici, nonostante il male ci sia ancora, lei gioca, cammina ed il papà mi ha scritto: “Se la nostra bimba è ancora viva siamo ben consci che il merito è dell’incessante preghiera che ha accompagnato questa bambina fino ad ora. Il futuro resta sempre un grande punto interrogativo ma per il momento è gioia per il presente che è quello che tutti noi abbiamo tra le mani.” Mi sembra questa la più bella testimonianza di come la Fede aiuti a vivere la via della Croce e di come, attraverso l’abbandono a Gesù, si possa con lui giungere alla gioia della Resurrezione nonostante le prove.

Don Pino Esposito

Don Pino Esposito - La preziosit�� del dolore

Don Pino Esposito Foto di Don Pino Esposito Parroco delle Parrocchie della SS.Trinità in San Donato di Ninea, di Santa Rosalia, e del SS. Salvatore in Policastrello
       
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