Riflessioni sulla Via Crucis: i segni della passione di Cristo nella Sindone
In questi giorni che hanno ricordato la passione e la morte di Cristo, mi sono soffermato spesso sulle straordinarie coincidenze tra la narrazione dei Vangeli e i segni che appaiono sulla Sindone. Non mi soffermerò sulla storia di questo telo, storicamente documentato in Francia nel 1353 o poco prima, né sui suoi rapporti con un telo documentato per secoli a Costantinopoli e forse proveniente da Edessa (noto come il “Mandylion di Odessa” un telo che mostrava il volto sofferente di Cristo) ed in seguito alle invasioni arabe scomparso per secoli. Temi molto interessanti da trattare, ma richiederebbero ben altri spazi. Vorrei, invece, soffermarmi, e quasi meditare come nella Via Crucis, tutto quanto la Sindone ci svela. Fino al 1898 la Sindone mostrava un’impronta che, per fattezze anatomiche, ma ancor più per certi segni riferibili a ferite, veniva collegata al telo in cui Giuseppe d’Arimatea aveva deposto Cristo esanime. Nel 1898, però, un fotografo dilettante, Secondo Pia, ebbe il permesso di riprendere il sacro telo e nello sviluppare i negativi ebbe la straordinaria sorpresa di accorgersi che il telo era un perfetto negativo fotografico. Enorme fu la sorpresa ed anche le successive lastre, fino a quelle a colori del 1978 di Vernon Miller, rivelarono con grande realismo e ricchezza di dettagli sia le fattezze anatomiche sia i segni della Passione. Nel secolo appena conclusosi gli studi sulla Sindone si sono fatti sempre più accurati e specialistici, con ben 36 ricercatori americani, alcuni italiani ed uno svizzero, con strumenti sofisticatissimi messi a disposizione addirittura dai programmi spaziali della Nasa e dagli istituti universitari americani. Gli studi hanno rivelato una scoperta stupefacente: il fatto che l’immagine possiede un’informazione tridimensionale non rilevabile né dall’occhio, né dall’obiettivo fotografico. Studi interessantissimi, che sarebbe bello approfondire, mi basterà per ora dire però che, quando Jackson e Jumper, due scienziati dell’areonautica statunitense, applicarono un complesso programma del computer alle foto sinfoniche, ebbero la sorpresa di veder trasformare un’immagine piana in una in rilievo, il disegno rivelava una statua dalla perfetta anatomia, con il volto dall’inconfondibile espressione della morte. Poiché nessuno nel passato avrebbe potuto creare una tale immagine e neppure oggi, nessuno riuscirebbe a realizzarla neanche con le più sofisticate tecniche a disposizione, si può affermare che la tridimensionalità sia l’elemento conclusivo che esclude l’opera dell’uomo nella realizzazione dell’immagine della Sindone. Ma chi era l’uomo che era stato avvolto da quel telo?
Anche qui si potrebbero portare tanti argomenti, ma il più importante è che sono così tante le coincidenze tra la Passione di Gesù e i segni del telo sinfonico da poter affermare con un altissimo tasso di probabilità che quel telo abbia accolto il suo corpo e la sua resurrezione. Ed è, perciò, con venerazione che mi accingo a questa analisi.
La Sindone è una fotografia a caratteri di sangue. Già nell’orto degli ulivi Gesù aveva sudato sangue, un fenomeno conosciuto in medicina, un forte stress può provocare la rottura dei capillari che emettono sangue che fuoriesce insieme al sudore. Il telo che avvolse Gesù era finissimo, e conserva ancora tracce di pollini di piante che crescono in oriente. E la passione, come narrata nei Vangeli, trova riscontro in ogni particolare del telo. Esso rivela sul volto tumefazioni (specialmente a destra) e la deformazione del setto nasale, probabilmente rotto da un colpo di bastone: “Uno dei servi che gli stava accanto gli diede uno schiaffo” (Gv. 18, 22). Molto evidenti i segni della flagellazione: “Allora Pilato rilasciò Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo diede nelle loro mani” (Mt. 26, 27), sul corpo si contano un centinaio di colpi, dovuti a colpi di flagello (era una striscia di cuoio, terminante con una coppia di pallottole di piombo, con la sferrata essa si arrotolava intorno al corpo e le sfere laceravano la carne). “Intrecciata una corona di spine, gliela misero sul capo…” (Mt. 15,17-18). La corona di spine posta sul capo di Gesù era come le corone dei sovrani orientali, cioè un casco, le spine laceravano profondamente la pelle e le tracce di sangue sono molto evidenti, sua sulla fronte da cui scese un profondo rivolo di sangue e sulla nuca dove l’emorragia fu più intensa, nelle convulsioni sulla croce, la testa sfregava sul patibolo facendo penetrare ancor più le spine. Così sulle spalle dell’uomo sindonico sono evidenti i segni delle piaghe e delle contusioni (maggiore quella sulla spalla destra) dovute al peso ed allo sfregamento del patibulum, il legno trasversale che sarebbe stato agganciato a quello verticale sempre infisso nel terreno. Nel portare quel peso Gesù cadde ed anche questo ci dice la Sindone, con i segni delle ferite e del gonfiore più evidente nel ginocchio destro. Giunti al Calvario, Gesù venne inchiodato al patibulum con un grosso chiodo infisso nei polsi (questo particolare che si discosta dall’iconografia tradizionale, che raffigura Gesù con i chiodi nel palmo delle mani, è invece, una prova di autenticità perché nella realtà i condannati venivano inchiodati ai polsi, perché il palmo con il peso non avrebbe retto lacerandosi). Un altro particolare mi fa stupire: nel telo non appare il pollice ed i medici confermano che la lesione del nervo mediano provoca il ripiegamento del pollice sotto il palmo. Gli altri segni sul telo dell’agonia di Gesù danno i brividi al pensiero di tanta sofferenza: la direzione delle colate di sangue ci rivela i momenti in cui Gesù si accasciava ed il sangue colava verso l’avambraccio e quelli in cui, per dare tregua alle spalle, faceva forza sul chiodo dei piedi per sollevarsi un pò ed il sangue scorreva perpendicolare al braccio. Gesù deve aver sofferto terribilmente anche per i crampi muscolari (le braccia nell’uomo della Sindone appaiono nettamente irrigidite) ma, ancor più, per la mancanza d’aria. “Gesù, dopo aver mandato un grande grido, rese lo spirito” (Mt. 27, 50). I condannati alla crocifissione morivano asfissiati perché, nello spasimo della trazione, la gabbia toracica si arrestava in stato di dilatazione (e nella Sindone il torace ha un rilievo marcato) ed i polmoni non riuscivano più a respirare, quindi, il condannato moriva soffocato. Spesso, per abbreviare l’agonia, si spezzavano le gambe ai crocefissi, ma questo non avvenne per Gesù (e anche l’uomo sindonico non presenta fratture alle gambe) perché era già morto. “Venuti a Gesù, siccome videro che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli apri il costato con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua” (Gv. 19,23). Evidente nell’uomo del telo, l’impronta di una grossa ferita nella parte destra del torace, di sangue e siero, fuoriuscita dopo la morte. Nel telo appaiono anche i segni del sangue colato ancora dal corpo durante il trasporto dal Calvario al Sepolcro. Quel telo poggiato sul suo volto ci ha conservato e permesso, dopo tanti secoli, di vedere le fattezze del nostro Salvatore e ci rivela che quel corpo non è andato incontro ai fenomeni di putrefazione ed anche che non è stato tolto da qualcuno perché, in tal caso, ci sarebbero segni di sfregamento e sarebbero restate croste di sangue, appare, invece, come se il corpo si fosse dissolto dall’interno.
A questo punto la tristezza con cui ho scritto, ritrovando tutti questi segni dei patimenti di Gesù, si trasforma in gioia perché anche in questo il telo conferma il fulcro della nostra fede: la Resurrezione di Gesù. Quell’uomo sepolto è emerso dal telo con una tale esplosione di luce da imprimere la sua immaginane per noi per donarci la speranza di un senso alla morte, anche per noi, come Gesù ci ha promesso, ci sarà la resurrezione se lo seguiremo.