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La dignità di vivere la vita: il biotestamento e la posizione della Chiesa Cattolica

In questo articolo della rubrica Don Pino Esposito Charitas affronto un argomento tanto delicato quanto attuale, che in un modo o nell'altro genera tanti dubbi proprio nel nostro vivere la Cristianità

In questi giorni alla Camera dei Deputati ( con 326 sì, 37 no e 4 astenuti) è stata approvata la proposta di legge sul testamento biologico. Il testo in esame dispone che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, documentato in forma scritta, revocabile in ogni momento. Viene così sancito il divieto di accanimento terapeutico verso il paziente, garantendo allo stesso modo la terapia del dolore fino alla sedazione profonda. Al termine della votazione, undici deputati cattolici di diversi schieramenti hanno spiegato il loro no a questo progetto di legge con le seguenti parole: “perché con esso, scrivono, la Camera vuole fare entrare nel nostro ordinamento giuridico l'eutanasia e vi entra nel modo più barbaro: la morte per fame e per sete”. La Chiesa italiana aveva già chiarito la sua posizione al Consiglio CEI di gennaio scorso, quando il cardinale Bagnasco aveva espresso preoccupazione per le proposte legislative che rendono la vita “un bene affidato alla completa autodeterminazione dell’individuo” e che oggi all’approvazione del disegno di legge ha ribadito che tale testo “apre derive pericolose…”. Anche per padre Vincenzo Sorce, vice-presidente dell’Associazione religiosa degli istituti socio-sanitari, si è aperto "un vastissimo campo di dissenso etico-antropologico”. Pesante anche il giudizio sulla legge dell’associazione pro-life Scienza e Vita, secondo la quale, a voce del presidente dell’associazione Alberto Gambino, si sta aprendo la strada "all’abbandono terapeutico”. L’equiparazione di sostegni vitali come idratazione e nutrizione assistite a terapie che possono essere interrotte resta, quindi, il punto cruciale del dibattito. Alla luce di questo, molte sono le parti che possono ancora essere migliorate specie sui punti più sensibili per noi cattolici.

Questa legge, come sicuramente potevamo immaginarci, farà discutere. Non solo i cattolici, ma tutti quanti siamo chiamati a pensare profondamente al valore della vita e a come poterla salvaguardare fino all’ultimo momento in cui arriverà la chiamata di nostro Signore. Tutto viene legato al problema etico dell’autodeterminazione dell’individuo e del poter disporre della vita a proprio piacimento, ma un argomento così serio ed importante apre ovviamente la porta a molte altre considerazioni. Nella volontà di morte del singolo in ballo non c’è solo l’autodeterminazione, cioè la volontà del singolo; ma c’è in gioco l’idea che la comunità ha della morte. La scelta di morte non è uguale alla scelta di vita come vorrebbero i fautori dell’autodeterminazione e questo coinvolge l’intera comunità. Siamo tutti liberi di buttarci da un ponte quindi? Oppure di evitare vaccini o l’uso delle cinture di sicurezza o del casco? Tutto in nome dell’autodeterminazione per la quale e’ possibile fare tutto quello che vogliamo in ogni momento della nostra vita: se io sono auto-determinato, distruggo l’idea che, invece, la vita e la salute siano un bene fondamentale che vada tutelato da tutti i punti di vista, è un concetto che si lega quindi anche alla solidarietà e alla fratellanza, non solo al misero egoismo verso noi stessi. Capisco che il tema sia spinoso, ma non per questo tale discussione deve essere ancora rimandata, da tempo Chiesa e Stato cercano una mediazione sul tema del fine vita, in Parlamento così come nelle parrocchie. Si capisce che, davanti alla richiesta di “normare un mistero”, il mondo cattolico entri in subbuglio e s’interroghi. A maggior ragione oggi con il pontificato di Papa Francesco in prima linea contro “la cultura dello scarto” e delle persone che per anni sono state tenute lontane dalla vita cattolica.

Già a Febbraio Papa Francesco, dopo 22 anni dalla sua ultima versione, ha voluto aggiornare il codice deontologico vaticano per gli Operatori Sanitari che precisa, alla luce della fede, le regole etiche riguardanti l'assistenza da prestare ai malati. Diffusa proprio durante la XXV Giornata mondiale del malato, tale vademecum teologico-morale conferma l’eticità della sedazione palliativa profonda nelle fasi prossime al momento della morte, attuata secondo corretti protocolli etici e sottoposta ad un continuo monitoraggio, affermando, inoltre, che devono essere sempre rispettati la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente, pur lasciando al medico il diritto e la possibilità di sottrarsi a volontà discordi dalla propria coscienza. Secondo la nuova Carta, inoltre, “Idratazione e alimentazione artificiali sono da somministrare al malato solo se utili, ma la loro sospensione non giustificata continuerà ad essere considerata dalla Chiesa un atto di eutanasia”.

Il pensiero della morte e della sofferenza, che sembrano legati a filo doppio, hanno ribussato così alla mia coscienza. Senza la luce della fede anche il sole più luminoso diventa tenebra, come per chi di fede si nutre anche il buio più fitto si squarcia all’albeggiare della speranza. Lo scontro è lo stesso che si potrebbe avere tra chi invoca il diritto di morire quale forma di libertà di poter scegliere fino alla fine e chi, invece, propugna la volontà di vivere come la massima espressione di libertà. Tutto in fondo si fonda su un concetto più o meno efficientistico delle qualità fenomeniche del nostro corpo quale unità di misura della pienezza espressiva della vita, piuttosto che sulla categoria dell’essere. La domanda che spesso sento attorno a me è: “fino a che punto la vita può considerarsi tale?”. Il fatto è che, se riempiamo lo spazio dell’anima con altro, svuotandolo del suo senso, diventa difficile poi comprendere come il diverso o una difformità possano assumere i colori di un’opzione qualificante. Bisogna invece rendersi conto di ciò che si è, capire che ogni limite non è una ringhiera che ci separa dal senso di vertigine del vuoto che è al di là, ma invece un trampolino che può proiettarci nell’immensità dello slancio per affidarci completamente a Colui per il quale noi valiamo più del mondo intero, lo stesso che ha già donato la sua vita per Noi ed il suo sangue per l’umanità tutta.

“Il primo diritto di una persona è la sua vita. - ha affermato Papa Francesco -Nell’essere umano fragile ciascuno di noi è invitato a riconoscere il volto del Signore, che nella sua carne umana ha sperimentato l’indifferenza e la solitudine a cui spesso condanniamo i più poveri, sia nei Paesi in via di sviluppo, sia nelle società benestanti. […] Le cose hanno un prezzo e sono vendibili, ma le persone hanno una dignità, valgono più delle cose e non hanno prezzo. Tante volte ci troviamo in situazioni in cui quello che costa di meno è la vita. Per questo l’attenzione alla vita umana nella sua totalità è diventata negli ultimi tempi una vera e propria priorità del Magistero della Chiesa, particolarmente a quella maggiormente indifesa, cioè al disabile, all’ammalato, al nascituro, al bambino, all’anziano, che è la vita più indifesa”.

Se il calore della vita viene meno, la morte sta bussando alla tua porta, ma la morte ha comunque una sua dignità quando arriva naturalmente. Occorre un’infinità di compassione e comprensione in questi momenti. Si va verso la morte serenamente solo se nella vita c’è un significato che possa dare non dico speranza, ma sicuramente pace.

Don Pino Esposito - La dignita' di vivere la vita

Don Pino Esposito Foto di Don Pino Esposito Parroco delle Parrocchie della SS.Trinità in San Donato di Ninea, di Santa Rosalia, e del SS. Salvatore in Policastrello
       
      S.Donato di Ninea,       Italia    
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