Il Beato Justo Takayama Ukon - di Don Pino Esposito
Può un samurai del XVI secolo decidere di rinunciare a tutte le sue ricchezze ed al suo potere pur di non rinunciare alla fede cattolica? Justo Takayama Ukon, il primo samurai che lo fece nella Storia si è guadagnato da poco un posto tra i beati riconosciuti dalla Chiesa Cattolica. La vita è sempre una questione di scelte, veniamo a trovarci in situazioni più o meno difficili, che ci pongono davanti a delle decisioni che una volta fatte condizioneranno il nostro futuro terreno, ma anche di fronte alla difficoltà di certe scelte e alla mancanza magari di sicurezze totali dobbiamo essere fiduciosi nella provvidenza e nel Dio misericordioso che ogni giorno cerca di indirizzarci verso la salvezza, la beatitudine, la santità.
Dalla katana alla Croce: la scelta del Beato Takayama Ukon riecheggia nei secoli come mirabile esempio di devozione e fedeltà ai principi del Cristianesimo. Si coprì di gloria terrena come uomo d’arme e si guadagnò la gloria del cielo come uomo di fede. Ukon nacque nel 1552, era quello il periodo in cui il missionario gesuita Francesco Saverio era sbarcato in Giappone (a quel tempo chiamato dagli Europei con il nome di “Cipango”) per diffondere le parole del Vangelo. A 12 anni, dopo aver incontrato per la prima volta i predicatori europei, decise di convertirsi ed assunse il nome di “Justo” dopo il suo battesimo cristiano. Un nuovo nome come ad indicare una nuova vita, il destino di Ukon-Justo, in quanto membro di una ricca famiglia di feudatari che controllavano le terre giapponesi, lo avrebbe portato, normalmente, a diventare un samurai, ma invece così non successe. Dal momento in cui Justo e suo padre si convertirono al cristianesimo iniziarono ad utilizzare il loro grande potere per uno scopo più nobile: convertire le zone circostanti il feudo e proteggere missionari e cristiani sparsi per il territorio. Nel suo cammino di vita Justo approfondì la fiducia nel Signore e gli episodi più difficili della sua vita lo misero davanti a difficili scelte, scelte che lo portarono da guerriero abituato a lottare come un eroe, a divenire un uomo disposto a offrire se stesso per gli altri, secondo l’esempio di Cristo. Non solo con le parole, quindi, ma con le opere ed una condotta di vita che portò persino i giapponesi a riferirsi al cristianesimo come “la legge di Takayama”. Le cose si fecero difficili per Ukon e la sua famiglia quando iniziò nel 1587 una serrata persecuzione nei confronti dei cristiani che portò all’espulsione di molti missionari dal Paese e alla richiesta verso i cattolici giapponesi di abbandonare il credo. Molti cedettero, ma la famiglia Takayama non si piegò: rinunciò agli onori e alle proprietà ma rimase salda nella fede. Justo e la sua famiglia, infatti, non vollero combattere contro altri cristiani e questo li portò a condurre una vita povera, ma fedele alla vita cristiana, dal momento che un samurai che non obbedisce al suo capo perde tutto ciò che ha. Il 5 febbraio 1597 avvenne una delle pagine più tremende della chiesa nipponica, fu ordinata, infatti, dallo shogun Toyotomi Hideyoshi l’esecuzione di 26 cattolici, stranieri e giapponesi i quali furono crocifissi tutti a Nagasaki dove oggi il Museo dei martiri li ricorda. Nonostante questo tragico fatto, Takayama rifiutò di abbandonare la Chiesa, scegliendo di vivere da cristiano fino alla morte. Pochi anni dopo, nel 1614, il Cristianesimo venne definitivamente bandito dal Giappone e di conseguenza Takayama fu costretto, con circa 300 suoi seguaci, a fuggire nelle Filippine, terra che lo accolse fino alla sua morte avvenuta a seguito di malattie e stenti, i quali vennero riconosciuti il 7 febbraio 2017 da Papa Francesco come “martirio” e questa morte, oltre alla condotta esemplare ha condotto, dopo un accurato percorso da parte della Chiesa, alla Beatificazione di Justo Takayama in quanto “chiaro esempio di Fede e amore verso Cristo”. Il più grande “missionario giapponese” del cinquecento, come lo ha definito il cardinale Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, è riuscito a far propria la fede cristiana pur rimanendo un vero giapponese nei modi e nei costumi e a trasmetterla a tante persone con il suo esempio di vita fino alla morte in esilio. Sono esempi come questo che servono anche a noi, cattolici di oggi, per incoraggiarci a vivere la fede mettendo in pratica iniziative di misericordia che piacciono a Dio. Sempre il cardinale Angelo Amato, si era così espresso riguardo al Beato: “Aveva colto il messaggio centrale di Gesù, che è la legge della carità. Per questo era misericordioso con i suoi sudditi, aiutava i poveri, dava il sostentamento ai samurai bisognosi. Fondò la confraternita della misericordia. Tutto ciò provocava stupore e desiderio di imitazione”. Aver proposto ai nostri giorni questo santo di un secolo lontano può sembrare anacronistico, ma, se guardiamo ai pericoli e alle persecuzioni che ancora oggi i cristiani subiscono in tante parti del mondo, ci rendiamo conto che dal santo samurai possiamo prendere tanti esempi nel nostro cammino di vita e di fede: la vera salvezza sta nell’insegnamento di Gesù e nessuno potrà togliercela se noi ci affidiamo ogni giorno totalmente a lui.