Don Pino Esposito - Charitas - Economia di Comunione, un’economia per tutti
In questo appuntamento della mia rubrica Don Pino Esposito - Charitas affronto un argomento importante perchè parte integrante dei valori della Cristianità. Condividere con chi è meno fortunato.
Nel maggio del 1991 Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, ebbe l’intuito ed il coraggio di proporre l’alternativa dell’Economia di Comunione. La sua proposta venne apprezzata, ma considerata dai più come un’utopia per brave persone desiderose di mettere a disposizione dei meno abbienti una parte dei profitti derivanti dal lavoro delle aziende. In una società globalizzata, concentrata nella ricchezza di pochi operatori della finanza mondiale nasceva l’esigenza di far partecipare gli esclusi dal benessere al processo produttivo. Il progetto globale, con tutte le ricchezze del carisma di Chiara, vedeva con occhi nuovi anche la politica, il diritto, i rapporti sociali, l’ambiente, le arti, le comunicazioni. L’economia di Comunione si concretizzava in tre obbiettivi: aiutare i fratelli nel bisogno, diffondere la cultura del dare ed, infine, investire per poter offrire più posti di lavoro. La dinamica del dare porta a riconoscere l’altro come persona capace e desiderosa di dare e, quindi , porta a sviluppare uno stile manageriale, che offra a ciascuno la possibilità di dare il suo contributo. È un diventare produttori di comunione e la comunione è ciò di cui il mondo ha più bisogno, la più profonda risposta alla diseguaglianza. Una sola azienda da sola non può incarnare l’Economia di Comunione, ne sono necessarie tante altre per raggruppare la ricchezza, occorrono tutti coloro che vivono la cultura del dare. L’economia di Comunione è quindi una realtà globale che si esprime attraverso la partecipazione di nuove aziende, presenti in tutti i continenti, al processo di incubazione delle idee imprenditoriali per favorire la crescita di una nuova generazione di imprenditori. L’Economia di Comunione, fondata sulla cultura del dare, è volta ad aiutare quanti sono nella necessità ad uscire dalla povertà e può essere un’alternativa al Neo-Liberismo che si basa sul capitale e sulla competizione.
Parlare di quest’argomento oggi è porsi davanti ad uno scenario particolarmente complesso, in cui, secondo il Rapporto Oxfam 2017, solo otto persone al mondo da sole possiedono la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità. Uno scenario quanto mai attuale dal momento che, persino papa Francesco, che nel suo magistero ha voluto mettere in luce la dignità dei poveri e degli esclusi, tratterà l’argomento il 4 febbraio 2017 davanti a circa mille persone, tra imprenditori ed imprenditrici, che hanno scelto la comunione come stile di vita personale ed aziendale. L’Economia di Comunione trova spazio in qualunque area geografica e culturale, povera e ricca, ed attraverso la ricerca e l’attività accademica diversi studiosi stanno cercando di dare un fondamento teoretico al particolare binomio che lega insieme economia e comunione. Nel momento in cui, purtroppo, la mentalità corrente porta molti a trasformare il mercato finanziario in una divinità imperscrutabile alla cui volontà bisognerebbe alla fine assoggettarsi, c’è bisogno di visioni alternative e di ricominciare attraverso una nuova morale per la finanza, una finanza completamente incapace di autoregolamentarsi come, invece, gli economisti hanno per tanti anni affermato. Mi sono così imbattuto nei miei studi nel volume intitolato “Lezioni di economia civile” scritto dall’abate Antonio Genovesi a metà del 18° secolo per poi scoprire che lo stesso volume è stato preso d’esempio per la nascita, nel 2013 a Loppiano, della prima cattedra di “Scuola di economia civile (SEC)” che studia proprio come una visione etica dell’economia possa attuarsi nel concreto nel mondo che viviamo oggi. Civile poiché derivante dal sostantivo “civitas” che viene tradotto con “cittadinanza, comunità” e che si riferisce all’accezione della “civitas romana” che si espandeva estendendo i diritti di cittadinanza ai popoli conquistati che non erano, quindi , sottomessi ma parte di una più grande comunità. Molto lentamente forse qualcosa si sta così muovendo nella direzione giusta, pur trovando molte difficoltà sia a livello culturale sia a livello psicologico, è pur vero che è aperta da tempo la discussione sulla necessità di cambiare certi strumenti di rivelazione della ricchezza, come per esempio il PIL, che limitati per natura, ci restituiscono solo misurazioni che non tengono conto effettivamente del benessere degli individui proprio perché si basano unicamente sul profitto e non sulla felicità come l’economia civile o l’economia di comunione, invece, cercano di privilegiare. Perché se i profitti del commercio vanno a braccetto con le sofferenze che il commercio stesso provoca, ancora di più in un mondo globalizzato dove si sfrutta il lavoro di molte persone per il benessere di poche altre, evidentemente abbiamo superato la normale soglia di tolleranza. L’idea che una banca debba mirare non al profitto, ma allo sviluppo del territorio, era stata espressa con convinzione, nell’immediato dopoguerra, da Luigi Einaudi in perfetta coerenza con la sua formazione di economista liberale, ma il monito è rimasto inascoltato.
«Se decidiamo di guardare il mondo insieme a poveri e scartati, - afferma Luigino Bruni, economista e coordinatore internazionale dell’Economia di Comunione, nonchè cofondatore della SEC - non possiamo restare sul piedistallo, dobbiamo scendere nell’agone, accanto alle vittime, combattere per loro, con loro. In cambio, otterremo occhi nuovi, vedremo cose che gli altri non vedono, a volte molto brutte, altre volte di bellezza infinita. L’EdC lo fa da 25 anni. Se vuole vivere deve continuare a farlo ogni giorno, meglio, di più».