Ho fame
Dal sul verone della stanza mia
mentre dal ciel cadea senza posa
la prima neve lenta e silenziosa,
una infelice scorsi per la via.
Sul pallido sembiante le apparia
l’impronta della fame tormentosa
ed una veste livida e cenciosa
accusando, miseria la copria…
Di porta in porta invan cercando aiuto
all’uscio al fin d’un ricco s’accostò:
“ho fame” disse “e mamma muor digiuna”
pingue un signore apparve pettoruto.
E alla mendica che la man parò:
“via canaglia abbietta ed importuna”.
Sul viso stremato una lagrima indi
alla miseria brillò,
e senz’altro quell’uscio abbandonò.
“Vergine” mormorò
tergendosi le lagrime per via
fuor dell’insulto si dura la mia
miseria non saria.
Perché di morte o mamma poverina
perché non rendi a me l’ora vicina
o Pietosa Regina?
E più non disse vinta dal languore
tosto di sdegno m’arse e di dolore
insiem si strinse al cuore.
La sorte che Epulone meritò
perché a Lazzaro le briciole negò,
Lieta a mamma tornò
Quell’infelice e deal ciel senza posa
lenta cadea la neve copiosa.
Questa poesia Don Vincenzo Caroprese[1] la compose tra il 1890 e il 1900. In quel periodo, tante persone abitavano in una piccola stanza. Alcuni soffrivano non solo il freddo, ma anche la fame, al punto da ridursi a chiedere l’elemosina bussando di porta in porta. Infatti, c’era l’uso a quei tempi dell’invito di San Giuseppe, una pia tradizione religiosa che consisteva nell’organizzare da parte delle famiglie più benestanti il giorno della feste del Santo, un pranzo a base di tagliolini e ceci, con olio fritto, aglio e peperone dolce secco. Come secondo piattodel baccalà infarinato e fritto con l’aggiunta di un contorno di zucchine secche. I commensali erano di Solito i 12 membri più poveri della comunità.
Questo il ritratto dell’epoca in cui Don Vincenzo Caroprese compose la poesia “Ho fame”.
Nella poesia la fame viene personificata da una bambina che, in una fredda e nevosa giornata invernale, si incammina per la via con vestito rattoppato. Nessuno, però, riuscì a scorgere in quella poverella il volto sofferente di Cristo, nessuno ricordò nel guardarla ciò che Gesù ci insegna nel Vangelo “ogni volta che avete fatto qualcosa ad uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Il poeta conclude con le due sorti che toccarono alricco Epulone e Lazzaro. L’Epulone in questa breve vita terrena ha avuto tutto, a Lazzaro anche i cani leccavano le ferite; al contrario nell’altra dimensione dove la vita non è una breve esistenza di cento anni ma è eterna, tutto si è invertito.
[1] Sacerdote di San Donato di Ninea (CS), poeta e artista