Pietro La Fontaine, Cardinale di Santa Romana Chiesa e l’ordinazione di Don Vincenzo Caroprese
Nacque a Viterbo nel 1800, il padre, Francesco, era un orologiaio di origine svizzera, mentre la madre, Maria Bianchini, era una benestante borghese viterbese. Fu ordinato sacerdote nel 1833 dall’Arcivescovo Ad Personam di Viterbo e Tuscania, Giovanni Battista Paolucci. In seguito rimase per oltre vent’anni nel capoluogo della Tuscia, ove arrivò a guidare il locale Seminario Diocesano fino a quando fu nominato Vescovo di Cassano Allo Ionio. Diventò Segretario della Congregazione dei Riti e Arciprete della Basilica Lateranense nel 1910 per opera di Pio X.
Fu nominato Patriarca di Venezia il 5 marzo 1915 da Papa Benedetto XV, che lo elevò poi alla porpora cardinalizia, creandolo Cardinale presbitero nel concistoro del 4 dicembre 1916 con il titolo di Santi Nereo ed Achilleo. Nel 1921 optò per il titolo di Santi Dodici Apostoli.
Partecipò al Conclave del 1922, durante il quale venne eletto Papa Pio XI. Quest’ultimo gli affidò negli anni successivi numerosi ed importanti incarichi come Legato Pontificio. Va notato come, in quel celebre difficilissimo Conclave, La Fontaine sia stato più volte ad un passo dall’elezione per la grande stima di cui godeva, dovuta alla sua bontà d’animo e agli enormi sacrifici personali che si era imposto sia negli ultimi anni della Prima Guerra Mondiale, sia nell’immediato dopoguerra per portare aiuto ai meno abbienti. Morì nel Seminario Minore di Fietta di Paderno del Grappa nel 1935. Nel 1960 venne aperta la causa di Beatificazione.
Monsignor La Fontaine ordinò sacerdote, il 18 settembre 1809, Don Vincenzo Caroprese[1] e, avendo stima di lui, lo invitò a restare a Viterbo. Tuttavia, Caroprese preferì ritornare nella sua Diocesi di San Marco Argentano. Terminata la cerimonia di ordinazione, Don Vincenzo fece ritorno a San Donato dove, in occasione della celebrazione della sua prima messa, venne organizzata una grande festa, come racconta lui stesso in una lettera contenente l’elenco di tutti gli invitati.
La produzione poetica del Caroprese raccoglie molti spunti satirici, spesso legati a piccole scaramuccie gioviali, come quella risalente agli anni ’40 con un gruppo di neodiplomati e laureti che si era preso gioco di lui, ai quali indirizzò un componimento dove, tra le altre cose, alludeva alle loro lauree chiamandole “scartoffie”, diceva “la scartoffia che vi hanno dato serve per avvolgerci il lardo salato”, apostrofava i laureati in matematica dicendo loro: “di matematica siete professori ma per un teorema c’impiegate un’ora; l’equazione che avete dimenticato era nella zaina conservata”, mentre ai maestri elementari indirizzava questo avvertimento: “attenti adunque miei letterati non fate articoli troppo sbagliati e se ne fate io vi rispondo in prose e rime adempisco il mondo, perciò vi esorto da vero amico non fate articoli ripeto e dico. Tornate indietro dal sillabario se no vi pitto col mio rimario”.
Tuttavia, la sua verve polemica se la giocava bene con l’acutezza d’ingegno che, spesso, gli faceva comporre all’impronta vivaci battute, come si evince da tre aneddoti tra tanti che mi giova qui riportare. Un giorno, trovandosi nei castagneti, Don Vincenzo vide un giovane su un albero di ciliegie e gli disse: “figlio mio, statti accorti ca sa vranca i su pedi i cirasa trucculiadi, pua si scherdadi e basi nterra e piguliasi”.