XXXII Domenica del tempo ordinario
La liturgia di questa domenica è incentrata sulla bella notizia della risurrezione: la gioia che ne scaturisce dà la forza per seguire Gesù fino alla croce e per partecipare alla sua risurrezione (Fil 3, 11).
Il brano evangelico proposto dalla liturgia di questa XXXII domenica del tempo ordinario offre uno dei nomi divini più belli rivelati nella Scrittura: “Dio non è dei morti, ma dei viventi!”. Il contesto è polemico: i sadducei, gruppo sacerdotale aristocratico e conservatore, negavano la risurrezione, ammettendo l’autorità solo della Legge e contestando i farisei e le loro tradizioni. Citando la legge del levirato, i sadducei propongono a Gesù il caso paradossale di una donna che diventa sposa di sette fratelli, morti uno dopo l’altro, e domandano provocatoriamente: “alla risurrezione, di chi sarà moglie?”. La domanda-tranello è ridicola, ma nasconde la difficoltà di immaginare la vita eterna. La risposta del Maestro va all’essenziale: anzitutto distingue i due mondi, quello futuro da quello presente. Inoltre, qualifica lo stato dei figli della risurrezione come uguale agli angeli. Gesù affronta i sadducei sul loro stesso terreno appellandosi all’autorità di Mosè e affermando chiaramente che la vita dell’uomo non si esaurisce nei limiti dell’esistenza terrena; la risurrezione è un inizio, un nuovo modo di vivere con cui lo stesso matrimonio scompare, perché non occorre più perpetuare la specie, ma solo farla sbocciare in Dio. Se Mosè chiama il Signore “Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe” significa che gli antichi patriarchi sono ancora viventi. Dio è fedele alla sua Alleanza: non abbandona alla morte chi ha creduto e sperato in lui.