Giovanni Giacomo Panciroli (1644-1651)
Panciroli rappresenta un momento di ripresa del ruolo del Segretario di Stato pontificio. Dall’allontanamento del suo predecessore, Lorenzo Magalotti, di cui abbiamo narrato la complessa vicenda nel precedente capitolo, l’incarico era in effetti rimasto vacante per ben otto anni. Questi otto anni segnano la storia della Segreteria papale. Un silenzio nel quale qualcosa di importante si prepara all’interno della Chiesa e attende di trovare la sua via.
Il ristabilimento del ruolo di Segretario di Stato avvenne al termine del pontificato dei Barberini, di Urbano VIII, con l’elezione del nuovo papa appartenente alla eminente casata romana dei Pamphili. È sotto Innocenzo X che si apre quindi una nuova era per la Chiesa Romana, di cui il cardinal Giovanni Panciroli fece parte dando un contributo che non può essere dimenticato per il significato che esso riveste e per l’impulso che seppe imprimere. Nel Seicento, un contemporaneo di Panciroli, Galeazzo Gualdo Priorato, uomo conosciuto per le sue imprese militari e le sue opere storiche, tracciò un bel profilò del cardinale Segretario di Stato, che merita di essere ricordato. Egli scrisse del «Panzirolo […] Primo Ministro» che «possedeva l’intera confidenza del Pontefice»[1].
Lo storico della Chiesa Olivier Poncet, nel tracciare un ritratto di Papa Innocenzo X, non esita a definire la nomina di Panciroli come «l’evento saliente agli esordi del pontificato»[2].
Panciroli Giovanni Giacomo – il cognome si trova scritto talvolta con altre ortografie, così anche “Panziroli” oppure “Pancirole” o ancora “Panzirolo”, così come anche “Giangiacomo” – rappresenta un nuovo eppure così antico spirito del cristianesimo che si fa strada, di cui è simbolo e segno l’origine stessa di Panciroli. Egli non apparteneva ad una grande casata, né vi era in qualche maniera imparentato, era invece di semplici origini. La cronaca registra che padre di Panciroli, Virginio, era un sarto[3]. La sua storia è quindi all’insegna non delle grandi onorificenze di famiglia ma delle grandi elevazioni, oltre che sociali, come vedremo, anche e prima di tutto spirituali. Panciroli non si vergognava delle sue origini, ma anzi amava ricordarle, persino esibirle come testimonia il suo stemma cardinalizio nel quale venne inserito, in ricordo e in maniera simbolica, il disegno di un panno.
Alcuni documenti, conservati presso la Biblioteca Vaticana, consentono di ricostruire alcuni dettagli del primissimo periodo della vita di Panciroli, quindi la «buona clientela»[4] che il padre artigiano era riuscito ad assicurarsi, i migliori sforzi della famiglia affinché Giovanni potesse frequentare ambienti agiati: egli fu educato – come si legge in un documento d’epoca – «quasi alla nobile»[5], consentendogli di frequentare persone di ceto sociale più elevato del suo. Di qui i contatti e punti di accesso alla società “per bene”, ma di qui anche la bellezza di una famiglia che voleva che il proprio figlio potesse avere le stesse possibilità degli altri per riuscire. Il ritratto della personalità di Panciroli, tracciato con talento da uno dei suoi recenti biografi, è quello di un uomo brillante, sorprendente, schietto, dal carattere umano. Questi tratti caratteriali emergono dai dispacci redatti da Panciroli negli anni spagnoli, prima di assumere la carica di Segretario, quando già dava prova di sé presso la nunziatura di Madrid. I resoconti diplomatici di Panciroli si rivelano straordinariamente moderni, per lo stile vivace della sua scrittura e per l’interesse che egli rivolge ai dettagli della vita quotidiana, come se ogni piccola cosa contenesse qualcosa di grande e di importante. È così che lungi dal narrare unicamente delle grandi gesta, egli si soffermava a descrivere i piccoli gesti. È così, per esempio, che egli nel descrivere un importante incontro diplomatico, egli ricorda la situazione, la circostanza, il momento: «mentre stavo facendomi la barba»[6]. Non è soltanto una piccola curiosità che viene qui ad emergere, la stravaganza, una leggerezza dello spirito, ma l’amore profondo per la vita, non soltanto per la grandezza, ma per tutto, per le prime così come anche per le ultime cose, le più semplici, le più umili. Il richiamo al gesto quotidiano del “tagliarsi la barba” è l’espressione di un amore per l’uomo, per ciò che è, perché la storia dell’uomo non è fata solo di grandi date, ma di brevi momenti e di piccole cose che non vanno scartate, come scorie, ma vanno anch’esse amate e pienamente vissute, perché fanno anch’esse parte della storia umana. È possibile che ai suoi occhi tagliarsi la barba era un gesto significativo, di cui scrivere, così come lo era stato cucire un panno per il padre. Non un’ingenuità ma un segno, una traccia della sua storia personale.
Ecco la semplicità dell’animo di Panciroli, che gli proviene probabilmente dalle sue origini umili, che gli consentono di vedere e mostrare ciò che l’aristocrazia della Chiesa non poteva scorgere. Così anche lo stile di quei dispacci diplomatici era semplice, poco avvezzo alle sofisticherie, alle retoriche, ai giri di parole. Egli in maniera inconsueta, conservando una scrittura sempre semplice, descrittiva, schietta.
Qualità, queste, che Panciroli non perse mai. Anche nel periodo di massimo prestigio, presso la Segreteria Vaticana. Nella metà del Seicento, alcuni ambasciatori presso la Santa Sede a loro volta descrissero Panciroli, offrendo ulteriori dettagli utili a capirne la personalità e lo spirito. Ci piace ricordare una notizia tra tutte, perché conferma l’umiltà delle origini di Panciroli e come egli non volle mai nasconderle. Di lui si scrisse che aveva «qualità Romanesche, sendo di nascita bassa e plebea»[7]. Di ingegno vivace, sincero, le sue doti furono apprezzate e persino ricercate, eppure allo stesso tempo stigmatizzate, essendo quella ancora una Chiesa su cui influiva lo spirito aristocratico dell’epoca. È lentamente che la Chiesa si emancipava, a sua volta influendo sul mondo con la sua idea, essenzialmente cristiana, di una Chiesa non soltanto per il popolo, ma del popolo.
Figlio di un sarto, come già Gesù figlio di un falegname, Panciroli si inscrive già al suo nascere in una storia gravida di valori e di significati, che darà alla Chiesa nuovo impulso e linfa vitale. È questa la via di Panciroli, che egli ebbe segnata sin dall’origine e che seppe, con vero spirito cristiano, perseguire e mai smarrire, anche in momenti di gravi difficoltà, nel percorso che Dio gli aveva riservato. Ciò che egli ebbe ad affermare è l’idea di una nuova Chiesa, che stava fiorendo su un ramo antico. Era infine un “plebeo” di “nascita bassa” – come si disse di lui, all’epoca, nella Curia – a sorreggere il pontefice, fin dove gli fu possibile sostenerlo.
Quello che Panciroli era chiamato a fare, in seno alla Chiesa, fu qualcosa di straordinario, che oggi si tende ingiustamente a dimenticare. Si trattò per lui di cambiare la Chiesa medievale in una Chiesa moderna, di partecipare al suo rinnovamento pur conservando lo spirito della tradizione. Questa fu la sua grande impresa: credere in una Chiesa che avrebbe chiamato un uomo del popolo a sovrintendere allo Stato pontificio. Non fu semplice. Ma ciò che egli riuscì a compire fu certamente grandioso.
Panciroli si forma da giovane in diritto canonico e civile presso la Pontificia Università Lateranense, oppure – secondo altre fonti – presso la Sapienza, nei primi anni del Seicento. È nel settore della materia giuridica che egli iniziò a frequentare, presto, il futuro papa, Giovanni Battista Pamphili sia a Napoli sia in Spagna, legandosi inoltre anche a Magalotti, di cui abbiamo tracciato la biografia nel precedente capitolo, e avvicinandosi in questo modo precocemente alle attività di Segreteria di Stato. Si racconta anzi che è con insistenza che Magalotti tentava di richiamarlo a sé.
Alcune vicende che accomunano i due Segretari, il precedente e il successore, Magalotti e Panciroli, sono descritte con acume da Antonio Menniti Ippolito in un bel libro dal forte ma significativo titolo Il tramonto della curia nepotista.[8] Come raccontava già anche il grande storico della Chiesa, Pastor, il gesto del papa Pamphili, che per la prima volta designava un Segretario che non apparteneva alla sua parentela, fu epocale. Egli fece «un passo importante per lo sviluppo di un’istituzione che col tempo doveva scacciare il nepotismo»[9]. Ancora in tempi recentissimi il già nominato Olivier Poncet insiste e ribadisce l’innovazione apportata da Innocenzo X con la nomina di Panciroli a Segretario di Stato, che se da un lato si può ammettere fosse apportata «senza premeditazione alcuna», dall’altro di fatto fu precisa nello stabilire nella sovrintendenza della Chiesa una divisione, poiché al Segretario sarebbe spettata la responsabilità degli affari esterni e al nipote Pamphili gli incarichi e le rendite connesse alla gestione del potere temporale interno allo stato pontificio[10].
Panciroli veniva nominato cardinale appena l’anno prima del conclave e quindi della sua assunzione alla Segreteria di Stato. Ed ecco l’elevazione appunto di Panciroli a cui viene concesso un appartamento nel palazzo papale; ecco quindi la grandezza ma anche, inaspettatamente, l’inizio di una fine che lentamente sarebbe arrivata. Come fu già con Magalotti, anche Panciroli, dopo aver onorato la Chiesa nelle sue funzioni di Segretario, morì «quasi in disgrazia», come scrive Pastor[11], nel settembre 1651. Una disgrazia che tuttavia conteneva la grazia più piena, poiché i disegni di Dio si mostrano nelle forme più inconsuete e ciò che sembra condurre ad una fine certa, ci porta a un nuovo inizio.
Cosa era accaduto a Panciroli in quegli otto anni di lavoro nella Sede vaticana? Non è tanto la storia degli intrighi e delle tensioni vaticane che interessa qui ricostruire, quanto la volontà che ebbe il Segretario di stare al suo posto, di lavorare per il bene della Chiesa.
Panciroli viveva un’epoca nuova, fatta di passi coraggiosi a cui, come sempre e inevitabilmente accade, si interpongono passi più lenti e persino contrastanti. Egli si trovò affiancato da un cardinale nipote Camillo Pamphilj, figlio della celebre Olimpia, moglie di un fratello del papa, la quale aveva grandi ambizioni e altrettanto straordinarie doti, e che i romani, nelle popolane pasquinate, erano soliti chiamare satiricamente e non a caso la “papessa”.
Altro parente di Olimpia che ebbe grande peso fu Camillo Astalli, di scarse doti e sconfinata ambizione, a cui fu concessa la porpora, non senza l’intervento di Panciroli stesso che cercava, attraverso una nuova figura, di controbilanciare il potere dei consanguinei nella Santa Sede. Di Astalli avremo modo di riparlare, quando si tratterà di spiegare la triste fine del povero Segretario.
Le voci della Roma dell’epoca, la Roma del popolo, così colorite come lo sono da sempre, contribuiscono, anch’esse, più e meglio di ogni altro documento storico scritto, a comporre l’affresco di una Chiesa non priva di tormenti. Esse potranno sembrare irriverenti, ma allo stesso tempo non potranno non rivelarsi sintomatiche, poiché esprimono un disagio spirituale tra i fedeli più umili, la gente del popolo che con la satira allieva le sue pene e, più ancora, a modo suo si mostra partecipe delle afflizioni della Chiesa stessa. Correva voce per Roma – come scrisse uno storico nel Seicento, contemporaneo di quegli eventi – che Panciroli fosse il «Maestro» e Astalli lo «scolaro», quasi come «Garzone d’un sarto, tagliando e facendo esso [Panciroli] i vestiti, mandava poi lui [Astalli] a portarli ai propri Padroni»[12]. Ecco le burle romanesche, la pasquinate che rendono la città eterna così vivace, talvolta insolente, e sempre così teatrale. Ma è in questo grande teatro che si mettevano in scena lo spettacolo di una Chiesa che
Altrettanto inconsueta, agli occhi di uno spettatore di oggi, fu poi la costante ricerca, in quegli anni, di un cardinal nipote, con scelte che andavano a ricadere a più riprese su uomini ancora bisognosi di maturare, giovani e inesperti, come l’appena diciasettenne nipote di Olimpia, Francesco Maidalchini. Si riteneva all’epoca che per via parentale e consanguinea il pontefice avrebbe instaurato le relazioni migliori nella Curia romana.
Questa difficoltà crescente a stabilire un cardinal nipote costituì la circostanza entro la quale fu possibile a Panciroli di dare importanza al ruolo del Segretario nella Segreteria pontificia; non solo gli fu possibile, ma gli sembrò anzi assolutamente necessario e fondamentale. Tanto più era fondamentale là dove le insidie della Curia non facevano che crescere, in più circostanze che si crearono nel corso del pontificato di Innocenzo X, per cui al ruolo del cardinal nipote, vero sovrintendente dello Stato ecclesiastico, si sostituì e si sovrappose quello della cognata del papa, Olimpia. È stato giustamente detto che Olimpia rappresentò in qualche misura il «prolungamento» degli effetti del nepotismo[13]. Panciroli rappresentò a quel punto un elemento di equilibrio, che si inseriva con tanta delicatezza, quanto anche con determinazione, e che tuttavia finì per cedere in momenti di particolari tensioni interne. L’accavallarsi di cardinali nipoti, la presenza della “papessa”, resero l’opera di Panciroli difficile. È noto come Panciroli rifuggisse, quando gli era possibile, persino dal negoziare per conto del Santo Padre[14] per non sovrapporsi al ruolo del nipote cardinale e per non incorrere in questo modo in possibili rivendicazioni e attacchi. Ciò nonostante, questo era il ruolo che Innocenzo X volle affidare a Panciroli, quello di dare udienza ad ambasciatori e ministri, con tutta la difficoltà per Panciroli di ritrovarsi in situazioni scomode, sempre e comunque compensate dalla sua moderazione e attitudine all’ascolto e all’intesa.
Erano questi gli anni in cui il ruolo del Segretario si stava affermando e delineando, a fronte del ruolo di Ministro assunto ancora da un consanguineo del Papa. È noto ed è ben documentato che il pontefice fosse in vera confidenza con Panciroli. Con lui discuteva di tutto, compreso del desiderio di stabilire un cardinal nipote, un «Ministro del sangue» – come scrisse Galeazzo Gualdo Priorato – che «coadiuvasse il peso del Pontificato». E di ciò conversava con il Segretario chiedendone il parere. La risposta di Panciroli, ritrovata tra le sue carte di lavoro, è schietta e amorevole, sia nei confronti del Papa sia della Chiesa. Eccone le testuali parole delle quali va apprezzato il tono modesto e il senso tagliente: «Padre Santo vi pensi pur bene Vostra Santità e avverta, ch’invece di metter un Capo alle Sue Creature per l’unione, non accenda il fuoco della disunione»[15].
Alcune cronache d’epoca lo descrivono entrare nelle stanze del papa con atteggiamento «afflitto» e «smarrito» ed essere chiamato in alcuni momenti «ogni sera» per discutere con lui degli affari della Chiesa[16].
Come si può vedere, in queste citazioni come e più ampiamente anche nell’intero operato svolto da Panciroli, il Ministro del pontefice era della massima importanza per i ruoli che predisponeva all’interno della Chiesa e per l’equilibrio che lo svolgimento di quella funzione esigeva.
Lo stato di salute non aiutò Panciroli ad assolvere alla difficile missione, che avrebbe richiesto fino all’ultimo una vivacità non soltanto dello spirito ma anche del corpo, maggiore di quanto gli fu in effetti concesso. In particolare negli ultimi anni, la precaria condizione di salute lo indebolì fisicamente e in modo grave a tal punto da cedere lentamente agli intrighi della Curia.
Questa ultima fase della sua vita creò una paradossale eppure così significativa cornice: nato umile, muore sofferente. Von Pastor scriveva di lui: «le malattie più o meno sempre lo travagliarono»[17]. In questo percorso Panciroli arrivò a tracciare un disegno cristiano della Chiesa, non soltanto per ciò che egli riuscì in effetti a modificare in essa, ma anche e soprattutto per lo spirito con il quale egli seppe trasformarla, sarebbe a dire uno spirito umile e sofferente e con ciò allo stesso tempo operoso, fedele e colmo di speranza.
Nel grave stato di malattia di Panciroli non si può non vedere oltre alla sofferenza anche l’affetto che il Pontefice sempre conservò per il suo Segretario il quale se per un verso, in effetti, fu allontanato dagli affari della Chiesa, per un altro verso egli fu curato, quindi tenuto a distanza dalle fatiche del gravoso lavoro perché egli si potesse ristabilire. È quanto emerge dal racconto estremamente documentato e dettagliato redatto nel Seicento dal già citato Galeazzo Gualdo Priorato. In questo racconto si danno informazioni esatte sul male che affliggeva Pancirolo: una indisposizione di stomaco che per la medicina dell’epoca risultava di difficile rimedio, durata sette anni e che aumentava «grandemente» in quei tempi[18]. È così che il Papa, vedendolo in stato di crescente sofferenza e temendo di doverlo perdere a breve, ordinò che si «facesse un Collegio de Medici in Casa del Coelicola»[19]. Quindi il pontefice «comandò» al Panciroli di mettersi a letto e di astenersi dalle fatiche della Segreteria. Al comando corrispose l’ubbidienza di Panciroli che si «pose in letto» nel mese di luglio 1651.
La sofferenza di Pancirolo non accrebbe soltanto l’amorevolezza del Papa, ma anche i raggiri dei suoi avversari e le astuzie dei sempre più intricati giochi diplomatici della Chiesa. Iniziarono così a correre voci che la malattia di cui soffriva Panciroli fosse un’altra e più grave, sarebbe a dire la tubercolosi. Con questo l’astuto stratagemma per separare il Pontefice dal suo Segretario, si fece credere che la malattia di Panciroli fosse pericolosa, che egli fosse in qualche maniera un appestato: affetto da «Tisico, ch’essendo mal, che s’attacca col praticarsi [frequentarsi], sua Beatitudine non l’avrebbe più ammesso presso di sé, come era solito e in tal modo lo avrebbe allontanato»[20].
La vicenda della fine di Panciroli rappresentò una vera e propria violenza a danno del Segretario sventurato, del Papa ingannato e della Chiesa tutta, poiché si trattò di corrompere i medici per opera del cardinal nipote. Alcuni medici si ribellarono alla macchinazione ma furono costretti a tacere davanti al Papa e ad allontanarsi da Panciroli. È così che Panciroli che le male lingue additarono come appestato, di fatto rimase isolato.
È stata trascritta una delle dichiarazioni rilasciate da uno dei medici che dichiarò al pontefice testuali parole, evitando allo stesso tempo, con grande abilità, sia di mentire sia di dire il vero: «Padre Santo non so; imperoché sul dubbio, che possa esser tisico ho stimato conveniente di non praticarlo più, mentre devo essere a servire Vostra Santità»[21].
Questo stato di cose, questa tremenda macchinazione diede il colpo fatale a Panciroli, alterato, amareggiato, sofferente. La sua morte è significativa e simbolica. Egli non morì tanto per il male fisico che lo inflisse, ma per essere stato in quel modo strappato al Santo Padre. Scrive uno storico del Seicento, che seguì quegli eventi da vicino: «Panzirolo non» si «levò più di letto e in pochi giorni s’allontanò dal Pontefice e dal mondo passando all’altra vita»[22].
Non si poteva scrivere frase più toccante e più vera per capire la storia di Panciroli. Per lui allontanarsi dal Pontefice equivalse ad staccarsi dal mondo. Il suo compito era ormai compiuto e nient’altro egli avrebbe potuto fare ancora in questa terra. Era il momento di passare a miglior vita: «aggravandosi il male per la febbre sopraggiuntagli, prese i Santi Sacramenti e mandato dal Papa a chieder l’assoluzione di alcune cose più particolare, per soddisfazione della sua coscienza, fece Testamento» e perdonò tutti, dichiarando il suo affetto anche a chi lo aveva danneggiato, poiché, come egli ebbe a dire a pochi giorni dalla morte, chi lo aveva allontanato si sarebbe accorto di aver perso un amico.
Perché tanta acredine nei confronti del Segretario di Stato pontificio? Perché egli incorse nell’odio e nelle gelosie della Curia? Considerando il grande equilibrio e la morigeratezza di Panciroli, è difficile non porsi questa domanda. C’è chi sostiene che queste gelosie e questa spaventosa macchinazione – oggi ingiustamente dimenticate dopo secoli di storia, e che qui invece vogliamo ricordare per ristabilire la grandezza di quell’uomo di Chiesa – nascessero dal timore di chi considerava in Pancirolo delle qualità degne di succedere al papa Innocenzo. Questo potrebbe spiegare il continuò tentativo di calunniarlo e di renderlo odioso come un appestato. È quindi possibile vedere nei tratti spirituali e caratteriali del Segretario di Stato, il futuro papa che mai fu ma che avrebbe potuto essere e allo stesso tempo è possibile intravedere i motivi che spinsero con tanta caparbia a fermarlo, se mai sia possibile fermare la Chiesa nel suo cammino.
La storia di Panciroli racconta anche l’importanza ormai rilevantissima che aveva assunto la carica di Segretario di Stato, tale da poter accogliere i futuri papi, come poi in effetti avvenne. Ma non per Panciroli. Il suo fu un percorso arduo, di chi doveva aprire una via e non trovarla. Da lì in poi, tuttavia, nel ruolo del Segretario non si sarebbe trovato soltanto chi avrebbe dovuto sorreggere il papa, ma chi lo avrebbe avuto le sorti di diventarlo.
Non si può, per finire, non ribadire la delicatezza e quasi, direi, questa dolcezza di Giovanni Panciroli, da ricordare non genericamente, ma precisamente per alcuni specifici atteggiamenti che lo caratterizzano nella sua attività di Segretario.
È da ricorda per esempio, in questo senso, un brano di una lettera del 1648 che il Segretario di Stato scriveva al suddetto Altieri, il quale a quel tempo reggeva la nunziatura napoletana, riguardo ad una disobbedienza e indisposizione di Altieri a rispondere alla volontà del Pontefice. Magalotti gli scrisse: «Se Lei ritiene meglio rimanere ancora nel suo posto attuale [a Napoli] il Santo Padre lo concederà»[23]. Ecco la dolcezza di Panciroli, nella gestione degli affari della Chiesa, con l’unica raccomandazione fatta a Altieri perché egli evitasse la divulgazione di «false interpretazioni e malintesi»[24].
[1] Gualdo Priorato, G, Historia del ministerio del cardinale Giulio Mazarino primo ministro della corona di Francia. Diuisa in tre libri. Descritta dal conte Galeazzo Gualdo Priorato. Nella quale si raccontano i successi principali occorsi dal principio della sua direzzione sino alla sua morte. Libro primo, Bologna 1677, p. 27.
[2] Olivier Poncet, Innocenzo X, in Istituto dell’Enciclopedia Italiana (a cura di), I papi da Pietro a Francesco, Roma 2014, p.. 325.
[3] Girolamo Tiraboschi, Biblioteca modenese o Notizie della vita e delle opere degli scrittori natii degli stati del serenessimo signor duca di Modena, Tomo 3, Modena 1783, p. 5.
[4] Antonio Menniti Ippolito, Pamnciroli, Giovanni Giacomo, in «Dizionario Biografico Italiano», vol. 80 (2014), p. 704.
[5] Ibidem.
[6] Antonio Menniti Ippolito, Pamnciroli, Giovanni Giacomo, in «Dizionario Biografico Italiano», vol. 80 (2014), p. 705.
[7] Antonio Menniti Ippolito, Pamnciroli, Giovanni Giacomo, in «Dizionario Biografico Italiano», vol. 80 (2014), p. 706.
[8] Antonio Menniti Ippolito, Il tramonto della Curia nepotista : papi, nipoti e burocrati tra XVI e XVII secolo, Roma 2008.
[9] Ludovico von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo, vol. XIV, parte 1, Roma 1932, P. 29.
[10] Olivier Poncet, Innocenzo X, in Istituto dell’Enciclopedia Italiana (a cura di), I papi da Pietro a Francesco, Roma 2014, p. 325,
[11] Ludovico von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo, vol. XIV, cit., p. 34.
[12] Gualdo Priorato, G, Historia del ministerio del cardinale Giulio Mazarino primo ministro della corona di Francia. Diuisa in tre libri. Descritta dal conte Galeazzo Gualdo Priorato. Nella quale si raccontano i successi principali occorsi dal principio della sua direzzione sino alla sua morte. Libro primo, cit. p. 35.
[13] Olivier Poncet, Innocenzo X, in Istituto dell’Enciclopedia Italiana (a cura di), I papi da Pietro a Francesco, Roma 2014, p. 326.
[14] Documenti dell’ambasciatore veneziano Alvise Contarini, Relazioni del 1648.
[15] Gualdo Priorato, G, Historia del ministerio del cardinale Giulio Mazarino primo ministro della corona di Francia. Diuisa in tre libri. Descritta dal conte Galeazzo Gualdo Priorato. Nella quale si raccontano i successi principali occorsi dal principio della sua direzzione sino alla sua morte. Libro primo, cit., p.28.
[16] Ivi, pp. 32-33.
[17] Pastor, Panciroli Giancacomo, in Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostril giorni, vol. 51, Venezia 1851, p. 94.
[18] Gualdo Priorato, G, Historia del ministerio del cardinale Giulio Mazarino primo ministro della corona di Francia. Diuisa in tre libri. Descritta dal conte Galeazzo Gualdo Priorato. Nella quale si raccontano i successi principali occorsi dal principio della sua direzzione sino alla sua morte. Libro primo, cit., p. 39.
[19] Ibidem.
[20] Ivi, p. 40.
[21] Ivi, p. 41.
[22] Ibidem.
[23] Alfred von Reumont, Die Carafa von Maddaloni, II, Berlino 1851, p. 192.
[24] Ibidem.
