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Ludovico Ludovisi (1621-1623)

Nipote di Alessandro Ludovisi, successore di Paolo V, 234° pontefice, proclamato nel 1621 con il nome di Gregorio XV. Ludovico è un altro esempio di ciò che viene chiamato nepotismo che indica in questa usanza più che una strategia di governo una tradizione dell’epoca.

Fu una reggenza breve quella dei Ludovisi, di appena 3 anni, a fronte dei Borghese che avevano guidato la Santa Madre Chiesa per 16 anni, ciò in ragione della non giovane età nella quale Papa Gregorio XV, nato nella metà nel 1554, fu eletto.

Ludovico nasce a Bologna nel 1595. Da parte di madre, una Albergati, vantava anche qui una prestigiosa parentela con il nonno, dotto giurista, Fabio Albergati, attivissimo nel movimento della Controriforma, ricordato per aver contrastato in particolare le critiche rivolte dal francese Jean Bodin all’autorità pontificia romana assieme a quelle di Machiavelli.

Si specializza in diritto civile e canonico, a Roma, nel 1615, presso il Collegio Germanico e, presto, intraprende una fulminea carriera ecclesiastica. Appena sei anni dopo, mentre lo zio è elevato a sommo pontefice, il 9 febbraio 1621, Ludovico ottiene pochi giorni a seguire il titolo di cardinale, assieme a quello, autorevolissimo, di segretario dello Stato della Chiesa e di Camerlengo della Camera Apostolica, responsabile dell’amministrazione dei beni temporali della Santa Sede. L’importanza del ruolo del Camerlengo si può capire considerando il potere che questa figura aveva di presiedere la sede pontificia nel momento in cui essa risultasse vacante. La rilevanza del cardinale nipote fu tale negli affari della Chiesa da spingere alcuni storici a definirlo «vero e proprio alter ego» del pontefice[1]. A fronte dell’innegabile protagonismo, di chi come Ludovico sentì con responsabilità il compito di sorreggere il papa nelle sue mansioni, emerge allo stesso tempo la grande armonia raggiunta tra le massime cariche preposte a guidare la Chiesa.

 

La breve durata del pontificato di Gregorio XV, dal 1621 al 1623, rende l’attività di segreteria pontificia retta da Ludovico difficilmente comparabile rispetto a quella dei Borghese che lo precedettero. Eppure, non mancarono segni di continuità che resero l’opera dei Ludovisi un degno rilancio delle molte attività che i loro predecessori seppero avviare.

Prima tra tutte è da ricordare l’attività di mecenate e ancor più quella di collezionista che aveva caratterizzato l’opera massima di Scipione, la Galleria Borghese. Anche Ludovico si industriò nella raccolta e nella promozione dell’arte, forse in maniera più selettiva e certamente più ristretta, eppure simile e di una qualità della ricerca e del gusto artistico altrettanto notevole.

Alcuni inventari stesi nell’ultimo periodo della sua vita registrano e testimoniano l’accumulo di opere d’arte, prevalentemente di opere pittoriche di Tiziano o di Giovanni Bellini, di Guido Reni e Dosso Dossi ed altri artisti significativi del Rinascimento e del primo Barocco, sia veneto sia emiliano. Tra i capolavori posseduti spicca il celebre Doppio ritratto di Giorgione, del 1502, attualmente custodito dal Museo nazionale di Palazzo Venezia a Roma. Dagli inventari risultano 216 statue, 94 teste e busti, 21 colonne, 2 vasche, 11 lapidi mortuarie, 13 rilievi, 4 sarcofaghi, 19 vasi. Il dettaglio di questa descrizione rende conto della consistenza della raccolta[2].

È da apprezzare anche la sensibilità che Ludovico sviluppò per le antichità. Il suo brillante e vivace collezionismo lungi dal limitarsi alla raccolta di opere del suo tempo, si estese alla ricerca e alla conservazione di antichità romane, acquisendo pezzi dalle collezioni dei Colonna, dei Cesarini, dei Borghese e di altri nobili famiglie. Tra i pezzi più preziosi spiccala scultura di marmo bianco nota come Dioniso, pantera e satiro, copia romana del II secolo d. C. che abbellirà il Casino Capponi fatto edificare a Roma dal cardinale Ludovico come sede della sua vasta raccolta nella splendida residenza. La Villa Ludovisi, che ebbe come suo nucleo quello che fu poi chiamato Casino dell’Aurora, divenne luogo di raccolta della prestigiosa collezione del cardinale[3]. La meravigliosa Villa, in cui spicca l’affresco nel salone al pianterreno, il capolavoro dell’Aurora del Guercino, fece da contrappunto alla Villa Borghese e insieme segnano due luoghi seicenteschi di inestimabile valore.

La villa Ludovisi voleva essere, come quella di Borghese, un’oasi di pace, quasi a realizzare se non un paesaggio edenico, un luogo di ristoro. Quindi statue, colonne, fontane lungo i giardini, un’uccelliera e piante esotiche. C’è forse in questa architettura dei giardini barocchi l’espressione più vera di una volontà cristiana di dare sollievo, conforto alle anime in questo mondo. Questa è l’estetica cristiana di quei giardini che nella prima metà del Seicento sono realizzati da due delle più importanti cariche alla segreteria di stato pontificio.

Non vi fu una rivalità tra il  Borghese e il Ludovisi quanto piuttosto una condivisa ambizione alla cura e alla fioritura della bellezza nell’arte. Condivisione quindi, ma persino reciproca ammirazione e considerazione, di cui le opere d’arte stesse, collezionate dall’uno e dall’altro, lasciano testimonianza. Un’opera più di tutte attesta questo reciproco riconoscimento del valore delle due collezioni. È uno dei pezzi più prestigiosi e più emozionanti: il celebre gruppo scultoreo del ratto di Proserpina scolpito, come è noto, tra il 1621-1622, su commissione di Scipione. Il tema figurativo, ispirato alle Metamorfosi di Ovidio, inciso sulla pietra con calore e dinamicità, nelle due figure mitologiche mosse in un movimento a spirale, vertiginoso, rende la scultura uno degli elementi più emozionanti dell’opera di Bernini. Dapprima istallata a villa Borghese, fu quindi imballata e trasportata nella villa del Ludovisi, dono di Scipione,[4] quando Ludovisi assunse a sua volta la carica di cardinal nipote sotto Gregorio XV.

Qualcosa di terribile sarebbe accaduto alla Villa Ludovisi, segnandone il declino, quando la Roma cattolica divenne capitale d’Italia. È intorno al 1880, che iniziò una lenta ma devastante opera di dispersione degli arredi e delle statue della villa, che iniziarono a essere venduti pezzo per pezzo. La collezione riunita da Ludovico, simbolo di un’epoca della Chiesa, era ora sparpagliata e il vasto terreno sul quale si estendeva, tra il Tritone e Villa Borghese, esso stesso suddiviso e lottizzato, lentamente darà il via alla costruzione di Via Veneto. La fisionomia complessiva della villa venne irrimediabilmente sfigurata, i giardini disboscati, parte della villa abbattuta, quando lungo il percorso dei giardini iniziarono ad essere eretti stabilimenti residenziali.

Ancora alla fine del XIX secolo, il celebre scrittore statunitense Henry James descriveva con la massima emozione la bellezza di quel luogo – «non c’è nulla di meglio a Roma e forse nulla di così bello», così scriveva in un noto romanzo diaristico –  [5] ignaro del fatto che da lì a breve per la villa, e per tutto ciò che essa rappresentava, sarebbe stata la fine.

L’architettura moderna dei larghi viali e delle ampie prospettive spianate dalle nuove strade si sarebbe sostituita a quella dei boschi ombreggiati e dei “viali oscuri”, di cui ancora parlava James passeggiando nella villa alla fine dell’Ottocento e che era stata tipica dei giardini della Roma barocca.

Le implicazioni della perdita della villa Ludovisi non possono essere sottovalutate. Essa equivale alla perdita di un inestimabile patrimonio non solo di beni culturali, ma di beni spirituali. Si perde quell’estetica, quell’architettura del luogo di ristoro, di riparo, del luogo non frenetico ma soave e pacifico, dove l’uomo trova fisicamente e simbolicamente un’ombra, sotto cui ripararsi, soffermarsi e ristorarsi, perché per l’uomo c’è salvezza. Questa è la filosofia estetica che anima l’opera della villa e che segna il cristianesimo di Ludovico. C’è qui quella che potremmo chiamare una teologia dei giardini, come anche nella villa Borghese. Un’architettura che vuole creare dei luoghi in cui l’uomo è circondato da una grande bellezza e da mille ombre che esprimono il senso di una salvezza spirituale che nei luoghi più nascosti e profondi dei boschi e della coscienza si apre a ogni uomo, passeggero, forestiero, pellegrino.

I “viali oscuri” rendevano quei giardini simili a una cripta, che accoglie il fedele, lo mette al riparo, lo avvolge nell’ombra e nel mistero, dietro colonne che nascondono, che non lasciano vedere tutto impetuosamente, ma che nella tranquillità lasciano crescere la sensazione che qualcosa di immenso si cela dietro, ci guarda e ci protegge. Questa è la lettura spirituale dei grandi giardini della Roma cattolica e barocca a cui Ludovisi appartiene.

L’unica parte della villa oggi ancora integra è il Casino dell’Aurora, a cui abbiamo già accennato. Le statue e le collezioni antiche sono andate disperse. E di Proserpina e Plutone, la magnifica scultura berniniana arrivata nelle stanze della villa Ludovisi? Quale sarà la sua fine? Dopo quasi tre secoli dal dono, la scultura fece ritorno a Villa Borghese dove si può oggi ancora ammirare. Oltre all’evidente bellezza, essa rappresenta un simbolo del sodalizio tra i due cardinali, Borghese e Ludovisi, uniti nell’idea che nel cristianesimo l’arte sarebbe fiorita come mai era stato prima.

 

Sodalizi, analogie quindi, ma anche differenze sulle quali è interessante anche qui, sotto altri punti di vista, riflettere. Non è da sminuire il fatto che diversamente dal card. Scipione Borghese, il Ludovisi ebbe preferenza per la scultura antica, piuttosto che per quella moderna. È forse questo forte senso della storia antica a caratterizzarlo e a segnarne la personalità. Egli non fu il mecenate di Bernini e di Caravaggio, come era stato Scipione, ma si dedicò invece con maggiore insistenza alla collezione di antichità romane e greche, che costituiscono il tratto più caratteristico della sua raccolta, di una delle opere di spicco è il cosiddetto “sarcofago Grande Ludovisi”, fregiato di una spettacolare altorilievo romano del III secolo (una scena di barbari sottomessi) che, una volta entrato nella sua collezione, del cardinal prese il nome.

Qualcosa di più del collezionismo si rivelava nell’indole di Ludovisi. Si rivelava cioè il valore della preservazione dell’antichità classica. Questo valore è chiaro non solo ad un esame della consistenza e della sistematica raccolta ludovisiana, ma anche alla luce di alcuni interventi legislativi che, in maniera programmatica, intesero salvare il patrimonio d’arte che la città di Roma come nessun’altra città possedeva nel periodo pre-cristiano.

 In qualità di Camerlengo, Ludovico Ludovisi decretò che le rovine dell’antica Roma non dovessero essere più trattate in maniera sconsiderata come meri depositi di materiale edilizio. Fu il suo un energico tentativo di metter freno agli accessi abusivi, durati secoli, a quella che apparì a lungo una semplice miniera di eccellente marmo e pietra a buon prezzo[6] e non un patrimonio artistico il quale così, secolo dopo secolo, era lentamente dilapidato. Si tratta del decreto emanato il 2 marzo 1622 da Ludovico, quindi appena entrato in carica, che tentava una regolamentazione degli scavi di antichità, prevedendo permessi, pene e multe.

Non solo per mezzo di leggi, ma anche personalmente egli intervenne per mettere in salvo opera antiche. Appena a conoscenza di scavi in terreni e di rinvenimenti, egli interveniva acquistando sarcofagi, vasi, sculture di teste. Fu questa un’opera di acquista e di raccolta, ma allo stesso tempo di salvataggio.

Ecco il senso della storia, nel cardinale Ludovisi, l’amore appassionato per l’umanità tutta e per la bellezza dell’arte, perché il cristianesimo non dovesse conoscere mai quel senso della distruzione e dell’abuso che non gli appartiene. Amore per l’arte e amore per Roma.

Mi sembra quanto mai significativo questo gesto di Ludovico a favore delle antichità romane, che svela un’anima della Chiesa romana troppe volte dimenticata. Mentre non si fa altro che ricordare la celebre pasquinata Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini [quello che non hanno fatto i barbari, lo hanno fatto i Barberini] che commentava, in maniera anche troppo irriverente, l’asporto degli antichi bronzi dal Pantheon adrianeo di Roma fusi per costruire il grandioso baldacchino di San Pietro ad opera del Bernini nel pontificato successivo a Gregorio XV. Ludovico mostra un’altra faccia della Chiesa, che difende, che preserva e che trova persino nell’arte pre-cristiana qualcosa di umano e di bello.

Era la Roma della grande arte e dell’alta cultura. Ludovico si circondava di studiosi e letterati e si concedeva in discussioni e dibattiti. Egli fu pastore delle Belle Lettere, fondando l’Accademia dei Virtuosi al Quirinale. Nella sede estiva papale fioriva così l’alta cultura su tematiche spesso bibliche applicate a questioni di politica e società.

 

Accanto alla cura per le opere d’arte, Ludovisi va ricordato anche per le opere di bene. Egli volle che due volte al giorno venisse distribuito un pasto per i poveri di Roma. Egli assicurò che in un ospizio, istituito nei pressi del Laterano, fossero allestiti 150 letti. Tutto ciò a proprie e non irrisorie spese. Si calcola che questa iniziativa caritatevole e assistenziale venisse a gravare nelle casse di Ludovico per una spesa annua di circa 32.882 scudi[7]. È nei periodi di carestia che l’apparato viene messo in moto in soccorso dei bisognosi. In dettaglio è descritta l’energia con la quale il cardinale intervenne in occasione della carestia e delle epidemie che colpirono Roma nell’estate del 1622.

Si narra anche l’impegno del Segretario della Santa Sede perché in quello stato di bisogno nello stato pontificio si distribuisse grano ovunque più era impellente il bisogno.

È una Chiesa compassionevole, amorevole, industriosa, quella del cardinal Ludovisi, troppo spesso lasciata in ombra, per gettare luce unicamente sull’accumulo delle ricchezze in opere d’arte  e in possedimenti. Quanto è semplice puntare il dito e quanto è invece doveroso non dimenticare l’opera intera del papato e degli uomini che lo hanno guidato.

Una lettera conservatasi dello scambio epistolare tra lo zio e il nipote, il papa e il suo segretario, registra il peso della questione sociale nel rapporto tra i due Ludovisi. Gregorio XV scriveva queste parole, che qui trascriviamo apprezzandone lo stile e il calore delle parole, in una missiva al cardinale:

 

Li beni ecclesiastici riescono di intollerabil peso a chi mal se ne serve, perché oltremodo aggravano la coscienza, dovendosene rendere strettissimo conto, ma di grande alleggerimento sono nelle humane gravezze e conforto alle tribolazioni, a chi religiosamente l’adopera; sono però patrimonio de’ pover[8].

 

Ecco la splendida definizione usata da Gregorio XV sui beni ecclesiastici “patrimonio de’ poveri”.

In un noto e autorevole dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, quello di Ludovico Ludovisi fu definito un «porporato limosiniero»[9]. Questo non solo per la carità pubblica, ma anche per risolvere specifici disagi sociali, quali quello del matrimonio delle zitelle e venire in soccorso e togliere dal male le meretrici[10]. Tra le iniziative promosse dal cardinale vi fu in effetti l’elargizione di 9 doti l’anno, di cento scudi, in aiuto alle «zitelle sperse di Roma»[11]. Così anche aiuti monetari in favore di parrocchie, monache, frati, compagnie religiose, di alcune fabbriche afferenti a chiese, di case di penitenza, di ospedali. Il preciso elenco del registro delle elemosine è stato trascritto da Lucantonio Giunti, biografo del segretario di stato.

Quello di Ludovico fu, per lo Stato pontificio, la realizzazione di un vero e proprio stato sociale, all’avanguardia, che dimostrava vera sensibilità per i problemi del popolo.

 

Animo caritatevole e animo instancabile. Non si può trascurare della vita del cardinale la personalità tenace di cui ci parla il suo biografo ufficiale[12]. Sono aspetti che nelle cronache della storia della Chiesa sfuggono, ma che hanno e conservano il loro rilievo. Tra questi, l’instancabile propensione all’ascolto della gente. Narra il Giunti che il card. Ludovisi talvolta rinunciava persino a mangiare pur di ascoltare tutti coloro che erano venuti da lui in udienza, dal primo all’ultimo. Era noto il suo carattere calmo, che ambiva all’equilibrio, mai collerico, cercava di avvicinarsi anche a chi lo aveva offeso.

Tale fu il suo impegno reggere gli affari della Chiesa, e a sorreggere l’anziano e gracile pontefice, Gregorio XV, da ammalarsi. La cronaca registra che nel moltiplicarsi delle sue mansioni, tale fu l’impegno prodigato, che Ludovisi nel febbraio 1623 venne colpito da un male agli occhi[13].

Forse è proprio questa dedizione a segnare il carattere di Ludovico, questo senso d’abnegazione e d’affetto nel soccorrere e sostenere il papa anziano e indebolito per l’età, bisognoso di riposo. Per questo il papa e il suo segretario furono in quel periodo tra i più uniti nella Storia della Chiesa, non per sostituirsi a lui, ma per sorreggerlo in quella gravosa responsabilità..

È stato persino detto che una delle ragioni addotte dagli avversari dei Ludovisi, per motivare una loro indisposizione al Governo della Chiesa, fosse proprio la loro bontà, o meglio, la sua “troppa bontà” che si temeva potesse degenerare in debolezza. Virtù bistrattata e allo stesso tempo lodata. In una delle relazioni di inizio pontificato relative alle nuove cariche istituite, in merito al pontefice e al suo segretario, così scriveva F. Aragona:

 

In quanto al presente pontificato s’aspetta ognuno uno ottimo governo sì per la bontà e somma prudenza di S. Bne nota a tutti, come del nipote, l’un l’altro di natura molto mite e piacevole[14].

 

Abbiamo parlato molto di Roma e dell’amore cristiano profuso dal cardinale e dal suo papa, a beneficio delle opere d’arte e delle opere di bene della capitale del cattolicesimo. Non si può dimenticare tuttavia la portata ecumenica di quel pontificato che si fece guida delle genti di Roma come anche di quelle del mondo. Il pontificato di Gregorio XV, breve e costantemente spinto dalle inesauribili energie del suo segretario, proseguiva in effetti l’opera pastorale missionaria. Andare verso i popoli per parlare di Dio nella loro lingua: quella che era stata la preoccupazione di Paolo V proseguì a impegnare i due nuovi vicari.  Di qui la bolla pontificia del 31 gennaio 1623 che veniva in aiuto dei missionari gesuiti impegnati in India a portare il messaggio evangelico.  Si concedeva che i Bramani neofiti potessero conservare le insegne della loro casta (il tipico cordone e la ciocca di capelli) perché il cattolicesimo doveva convertire ma non distruggere l’antica cultura dei popoli, pur con attenzione a rigettare elementi idolatrici sul piano religioso.

È significativo questo rinnovato amore cristiano per l’antica cultura, che sia quella romana, di cui Ludovico volle preservare le antichità artistiche e archeologiche, che sia quella indiana di cui quel pontificato intendeva conservare le usanze e i costumi. Una nuova Chiesa che non solo vuole cambiare il mondo e convertirlo, ma che vuole anche accoglierlo, amarlo con spirito ospitale e amabile.

 

Segno della particolare intesa che strinse lo zio al nipote, il papa al suo segretario, sono alcune raffigurazioni sia pittoriche sia scultoree, che hanno immortalato i due Ludovisi insieme, nel loro comune operare per il bene e la grandezza della Chiesa.

Tra i ritratti più significativi non si può non ricordare il dipinto eseguito da Ottavio Leoni nel 1621, all’inizio del nuovo pontificato, già autore del bel ritratto di Scipione Borghese, predecessore di Ludovico. Come si può notare lo schema raffigurativo è analogo, ricalca il medesimo modello: l’abito cardinalizio, la mano destra che regge un documento aperto, lo sguardo rivolto allo spettatore. Con alcune differenze: il nuovo Segretario di Stato si trova ora all’impiedi e non è più solo, come era Scipione nel suo ritratto. Egli affianca il pontefice seduto, sta eretto alla sinistra del papa. In un punto centrale del quadro, dettaglio quanto mai significativo, le due mani, dei due Ludovisi, quasi si toccano, a significare l’intesa, il contatto, la vicinanza, l’armonia interna alla Chiesa.

Il secondo ritratto, che abbiamo scelto per ricordare la maniera nella quale Ludovico venne raffigurato, si riferisce non all’inizio, ma alla fine del pontificato dello zio. È il grandioso monumento funebre che decora l’ingresso della Cappella Ludovisi a Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, a Roma, dov’è custodita la tomba del papa, ultimata nei primi anni del Settecento, per mano dello scultore Le Gros che in quel periodo eccelleva nell’arte sacra funebre.

Il monumento, di una grandiosità suggestiva, allestito in una Chiesa romana a Campo Marzio, sorta grazie alle cure del nipote, grande mecenate di architetti e di artisti, vede papa Gregorio XV al centro, il braccio destro alzato e benedicente, circondato dalle allegorie delle quattro virtù (opera di Camillo Rusconi). Il monumento ostenta un dettaglio che più di tutti ci suggestiona. Ai piedi del trono papale si trova un medaglione, scoperto da due putti, che svelano il volto in alto rilievo di Ludovico, anch’esso opera di Le Gros. Anche qui, il papa e il Segretario di Stato sono raffigurati assieme, ancora una volta ad esprimere e a testimoniare il legame spirituale che li rese inseparabili.

Ludovico muore a Bologna nel 1632, dieci anni dopo lo zio pontefice. Il suo corpo verrà traslato nella Chiesa romana di Sant’Ignazio di Loyola per giacere accanto al suo papa, Gregorio XV.

Don Pino Esposito

 

[1] Paolo Broggio – Sabina Brevaglieri, Ludovisi, Ludovico, in «Dizionario Biografico Italiano», vol. 66 (2006).

[2] L. Pélissier, Un invetaire inédit des collections Ludovisi à Rome, Parigi 1894.

[3] Salvatore Algieri, I gatti di Sallustio. Storia di un quartiere romano, Berlino 2014.

[4] Daniele Pinton, Bernini. I percorsi dell’arte, Roma 2009, p. 14.

[5] Henry James, Portrait of Places, Boston 1884.

[6] Daire Keogh - Albert McDonnell, The Irish College, Rome and its world, Dublin 2008, pp. 24-44.

[7] Claudio Rendina, La santa casta della Chiesa Roma 2010 per la brutale accusa di accumulo di ricchezze

[8] Il testo della lettera di Gregorio XV al card. Ludovico Ludovisi è trascritta in Ludovico von Pastor, Storia dei Papi. Vol XIII Storia dei Papi nel periodo della Restaurazione Cattolica e della Guerra dei Trent’anni, Roma 1931, p. 66.

[9] Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiatica da S. Pietro sino ai nostri giorni, vol LV, Venezia 1852, p. 45.

[10] Ibidem.

[11] Lucantonio Giunti, Vita e fatti di L. card. Ludovisi nel Cod. 39. D. 8 della Biblioteca Corsini di Roma

[12] Ibidem.

[13] Ludovio von Pastor, Storia dei Papi. Vol XIII, cit., p. 57.

[14] Relazione di F. Aragona, 17 febbraio 1621, Archivio Gonzaga in Mantova.

Don Pino Esposito - Ritratto di Ludovico Ludovisi e del pontefice Gregorio XV (Ottavio Leoni,1621) Don Pino Esposito - Monumento sepolcrale (Chiesa di Sant'Ignazio di Loyola, Campo di Marzio, Roma, 1709-1717, Pierre Le Gros) Don Pino Esposito - Dettaglio del medaglione raffigurante Ludovico Ludovisi

Don Pino Esposito Foto di Don Pino Esposito Parroco delle Parrocchie della SS.Trinità in San Donato di Ninea, di Santa Rosalia, e del SS. Salvatore in Policastrello
       
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