Don Bosco e i Savoia, tra rapporti epistolari e sogni premonitori
Don Bosco è un santo universalmente noto ed amato principalmente per la sua azione educativa nei confronti dei giovani e per la sua opera assistenziale nei confronti di quelli più poveri ed abbandonati. Nella Torino della metà dell’Ottocento si chiarì e consolidò la sua missione (di cui aveva avuto una chiara premonizione in un bagno fatto all’età di 9 anni); il Sacerdote salvò dalla strada migliaia di giovani, diede loro un’istruzione ed un avvenire sicuro, il suo sistema preventivo si diffuse poi in tutto il Piemonte, in Italia, in Europa e in tutto il mondo. Le case salesiane ancora oggi applicano il metodo di Don Bosco aiutando i più poveri nelle zone più problematiche del nostro pianeta.
Per quanto riguarda Don Bosco e i suoi rapporti con i Savoia bisogna inserirli in quel preciso momento storico denominato “Risorgimento”, che è visto in modo completamente diverso a seconda degli osservatori: esaltato (anche a costo di minimizzare o trascurare gli aspetti meno esaltanti) dai fautori dell’Unità d’Italia, visto come un processo di conquista senza scrupoli, invece, da parte di frange cattoliche. In realtà il processo partì dalla soppressione di ordini religiosi, fino alla conquista della stessa Roma da parte dei bersaglieri italiani. Don Bosco che aveva la caratteristica di profetizzare attraverso i sogni ebbe uno scambio di lettere con il sovrano Vittorio Emanuele II nel Dicembre del 1854. In Parlamento era allora in discussione (su proposta di Urbano Rattazzi) lo scioglimento di tutti gli ordini religiosi contemplativi o mendicanti (prevedeva soltanto il mantenimento dei sacerdoti secolari e di quelli che si dedicavano all’istruzione o all’assistenza degli orfani) e l’incameramento di tutti i loro beni da parte dello Stato con il pretesto di creare un fondo per il sostentamento delle parrocchie più povere. Già in precedenza Don Bosco aveva fatto pervenire al Re la trascrizione di antichi documenti ritrovati ad Hautecombe, da dove la dinastia aveva avuto origine. In quei testi i Conti di Savoia maledicevano i loro discendenti che avessero agito contro la Chiesa. Impressionati da questi documenti il Re e i suoi familiari inviarono 400 lire in offerta per l’oratorio. Don Bosco si rammaricava molto per le leggi di cui si discuteva in Parlamento e un giorno si svegliò molto turbato da un sogno nel quale un giovane valletto di corte era entrato nel suo oratorio gridando: “Una grande notizia! Annuncia gran funerale a corte”. Il sacerdote inviò una lettera al re riferendogli il suo sogno, ma il re non ne fu impressionato. Dopo pochi giorni un nuovo sogno, ora il valletto annunciava: “Non gran funerale a corte, ma grandi funerali a corte”. Don Bosco scrisse di nuovo al Re per invitarlo a non far approvare quella legge. A quel punto il Re si infuriò e inviò il Marchese Fossati da Don Bosco per chiedergli conto delle sue parole. Ma quegli rispose: “Ciò che ho scritto è verità. Mi rincresce di aver disgustato il Sovrano, ma si stratta del suo bene e di quello della Chiesa.” Bisogna dire che già in molte altre occasioni Don Bosco aveva predetto la morte di persone da lui conosciute e, in genere, le informava perché pensava che così avessero la possibilità di salvarsi l’anima. Il Re, però, fu impressionato anche perché sua madre e sua moglie (donne pie e molto amate per la loro carità) premevano perché quelle leggi non passassero. Però il 5-1-1855 la Regina Madre Maria Teresa si ammalò e morì il 12 Gennaio a 54 anni. Dopo la morte della madre il Re ricevette una nuova lettera: “Persona illuminata ab alto ha detto: Apri l’occhio: è già morto uno. Se la legge passa accadranno gravi disgrazie nella tua famiglia. Questo non è che il preludio dei mali. Erunt mala super mala in domo tua. Se non recedi aprirai un abisso che non potrai scandagliare”. Come a confermare la profezia lo stesso giorno dei funerali della suocera la moglie del Re, Maria Adelaide, che aveva partorito pochi giorni prima, si ammalò e morì il 20 gennaio a soli 33 anni. Negli stessi giorni si ammalò l’unico fratello maschio del Re, il principe Ferdinando di Savoia, duca di Genova, e morì tra il 10 e l’11 Febbraio anche lui a 33 anni. Intanto i lavori parlamentari proseguivano: la legge fu approvata alla Camera il 2 Marzo con 117 voti a favore e 36 contrari. In Maggio arrivò al Senato e il 17 morì il bambino nato 4 mesi prima. Don Bosco fu molto dispiaciuto per tutti questi lutti abbattutisi sulla casa regnante. Lo stesso Re, molto turbato dagli eventi volle recarsi personalmente da Don Bosco e ne divenne un devoto estimatore. Nonostante ciò il 29 Maggio il Re firmò la legge che divenne effettiva e provocò la soppressione di 334 ordini e l’allontanamento di 5456 religiosi. Lo Stato Sabaudo incamerò terreni, monasteri, palazzi, tutto quanto nel corso dei secoli i fedeli avevano donato. Il Papa emanò la Scomunica contro il Re, gli autori, i fautori e gli esecutori della legge. Ma quando Vittorio Emanuele nel 1859 chiese il perdono, il Papa Pio IX revocò la scomunica. Dalle preghiere nelle chiese era stata tolta la preghiera per il Re, ma Don Bosco, avendo vista in sogno la sua morte, nel Natale del 1887 chiese ai suoi ragazzi di pregare per il Sovrano, che il 9-1-1888 morì per una improvvisa polmonite. Molti anni prima era stata ostacolata la pubblicazione di un opuscolo in cui Don Bosco affermava: “La famiglia di chi ruba a Dio è tribolata e non giunge alla 4° generazione.” Dopo la morte del Re fu più esplicito e predisse che la dinastia non sarebbe andata oltre la terza generazione. Infatti Umberto I fu ucciso nel 1900 dall’anarchico Bresci; Vittorio Emanuele III dovette lasciare Roma nel 1943 e nel 1946 andò in esilio, il figlio, Principe Umberto, fu Re per un mese e dopo la vittoria della Repubblica nel 1946 anche lui andò in esilio. Così veramente la dinastia dei Savoia, come predetto da Don Bosco non oltrepassò la 3° generazione.